Minneapolis oggi come Ferguson nel 2014. È una rabbia antica e stanca quella che infuoca da giorni gli Stati Uniti. È una sete di giustizia che va ben oltre quanto possiamo immaginare noi qui, dall’altra parte dell’Oceano. Con crescente visibilità, tuttavia, il Black Cinema mette in scena il nuovo e terrificante capitolo della violenza contro il popolo afroamericano: quello ripreso in video-diretta.
Giovani autori neri, spesso al loro esordio alla regia, scelgono di raccontare storie di attualità, ricollegandosi al tradizionale lato politico dei black film. Denunciano attivamente la violenza efferata e impunita che si consuma nelle strade da parte di chi dovrebbe, al contrario, proteggere e servire i cittadini.
Il senso del Black Cinema nell’America contemporanea
Capostipite di questo rinnovato filone può essere considerato già Fruitvale Station (2013), opera prima di Ryan Coogler (Creed, Black Panther), dedicata a Oscar Grant. Il ventiduenne, disarmato, fu ucciso nel 2009 da un agente di sicurezza nella metropolitana di Oakland, di fronte a decine di testimoni. Quelle immagini virali, riprese dai cellulari, aprirono la via alle rivendicazioni che, pochi anni e molte morti dopo, si concretizzano nel movimento Black Lives Matter.
Con maggiore consapevolezza – e in un clima socio-politico più polarizzato rispetto all’era Obama – oggi abbiamo la possibilità di vedere film coraggiosi ma brutali, determinati a scuotere le coscienze. Film che si rivolgono tanto alla comunità afroamericana, ferita e turbata, quanto al pubblico internazionale, focalizzandosi sull’insensatezza del suprematismo bianco e sulla sua pericolosa pervasività.
Più che di veri e propri successi come BlacKkKlansman (Spike Lee, 2018) o Get Out (Jordan Peele, 2017), parlo di film come Monsters and Men (2018) di Reinaldo Marcus Green o The Hate U Give – Il coraggio della verità (2018) di George Tillman Jr. Opere che arrivano in Italia attraverso il circuito festivaliero o passano in sordina perché difficili da collocare nel nostro mercato senza un adeguato storytelling promozionale.
Raccontare i contesti
Manca, infatti, molta informazione a riguardo. Se non viene ricordato l’omicidio di Alton Sterling o quello di Eric Garner (soffocato davanti alle telecamere da un poliziotto, come George Floyd) è complicato comprendere il contesto che collega i tre protagonisti di Monsters and Men. Risulta impossibile condividere il fardello di tre vite minacciate, in modo diverso, dal medesimo abuso di potere di un poliziotto bianco. Se si dimenticano i nomi di Trayvon Martin o Philando Castile, sparati a sangue freddo, si fatica a immedesimarsi nell’impotenza di una ragazza che vede morire accanto a sé l’amico più caro durante un posto di blocco, come in The Hate U Give.
Un richiamo all’azione
È un mondo in cui diventa necessario schierarsi, quello raccontato da questi film, in cui il silenzio è complice e la morale non ammette zone grigie: o si è uomini o si è mostri. Anche il minimo atto quotidiano, come la pubblicazione di un video sul web, diventa uno strumento di resistenza che ispira un’intera generazione di registi. Se poi quel video mostra un uomo ucciso da una divisa, diventa qualcosa di più, un disperato grido di aiuto. Rimane una responsabilità del pubblico, tuttavia, accogliere quel grido, non lasciare che si perda con indifferenza nel vuoto fra lo schermo e la realtà.
Articolo di Valeria Verbaro
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