Brasile, la peggior crisi dalla fine della dittatura

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Di Redazione Metropolitan

Sei ministri in 24h: alcuni rimossi, altri dimessi. Il governo di Bolsonaro sembra affrontare la più grave crisi da quando il leader della destra estrema ha conquistato il Brasile. Una crisi politica e istituzionale che trafigge un Paese già fortemente colpito dalla pandemia. Lunedì aveva annunciato un maxi-rimpasto, ufficialmente dietro pressione dell’ala più moderata della coalizione di governo: il tentativo del presidente brasiliano sarebbe quello di allontanare le critiche per la gestione del Covid, avvicinandosi gli alleati del “Grande centro”. Il quotidiano O Globo ha infatti sottolineato come Bolsonaro ne abbia approfittato “per sbarazzarsi di chi non diceva sempre amen” ai suoi voleri. Dopo aver incassato le dimissioni del ministro degli Esteri, Ernesto Araujo, e del ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, ha cambiato altri 4 ministri, garantendo l’entrata della deputata centrista Flavia Arruda e il generale Walter Souza Braga Netto al ministero della Difesa – più in linea del suo predecessore che fin dall’inizio della pandemia aveva criticato la gestione dell’emergenza sanitaria, reclamando un ruolo più importante per i militari.

Brasile, le critiche al governo Bolsonaro

Ieri mattina, Braga Netto ha annunciato immediatamente la “sostituzione” dei comandanti delle tre Forze Armate, Edson Pujol (Esercito), Ilques Barbosa (Marina) e Antonio Carlos Moretti (Aeronautica). Ma non è ancora chiara la dinamica degli eventi: si parla appunto di “sostituzioni” in risposta ai “gesti di solidarietà” da loro espressi nei confronti di Azevedo, ma secondo la ricostruzione del quotidiano Folha de Sao Paulo, i tre militari avevano già preannunciato le dimissioni in segno di protesta contro Bolsonaro. La notizia ha comunque sconvolto gli osservatori che preannunciavano la rimozione del solo Pujol, mostratosi insofferente nei confronti di Bolsonaro, al quale – fra le altre – aveva criticato la nomina del generale Eduardo Pazuello a ministero della Salute in piena emergenza sanitaria, e i fatti gli hanno dato ragione, perché il presidente fu costretto poi a sostituire Pazuello – quarto ministro della Salute da inizio pandemia – con il cardiologo Marcelo Queiroga, dichiaratosi favorevole alle misure di isolamento e alla vaccinazione di massa, in contrapposizione alla strategia negazionista del governo.

Bolsonaro è stato fortemente criticato dai governatori quanto dai sindaci delle più importanti città di un Paese che a gran voce chiede un cambiamento, mentre fa i conti con una delle gestioni della pandemia più disastrose di tutto il Pianeta: contagi e morti aumentano a causa delle variante di Manaus e le terapie intensive sono al massimo dell’occupazione. “A livello elettorale è un fallimento che gli costerà caro – ha detto al Corriere Claudio Goncalves Couto, analista della Fondazione Getulio Vegas – sia per la tragedia umanitaria che per la debacle economica. Ciò si riflette già nei sondaggi. Prevedo che alle presidenziali del 2022, Bolsonaro avrà meno del 15%, il suo zoccolo duro”. Non stupisce, dunque che al coro delle critiche si sia unita di recente la voce dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che ha definito Bolsonaro il “responsabile del più grande genocidio della storia del Brasile”. Dopo l’annullamento della condanna da parte della Corte Suprema Brasiliana – avvenuto lo scorso 8 marzo – Lula ha riabilitato i suoi diritti politici, tornando al centro della scena e ancora oggi gode di grande popolarità. Se si fosse potuto ricandidare alle elezioni del 2018, molti osservatori ritengono che avrebbe potuto anche vincere contro Bolsonaro: “Non ho mai visto il popolo brasiliano soffrire così tanto come oggi – ha affermato – Si muore nelle corsie degli ospedali, è tornata la fame”. Scenario che proprio lui ha il diritto di criticare se solo si pensa a quando, durante la sua presidenza – grazie al programma Bolsa Familia – permise di uscire dalla condizione di povertà milioni di persone. Un benessere, tra l’altro, speculare alla crescita dell’economia. Mentre adesso quel che si prospetta per la corsa alle presidenziali del 2022 vorrebbe uno scontro diretto con il presidente uscente, protagonisti indiscussi della polarizzazione esistente in Brasile negli ultimi anni. Sempre che Bolsonaro non riservi sorprese.

Francesca Perrotta