Di cosa parla la serie più vista del momento?

Bridgerton (guarda il trailer) con 63 milioni di schermi è la quinta serie più vista di sempre. Creata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes, ha debuttato il 25 dicembre 2020 su Netflix.

Ambientata a Londra all’epoca della reggenza, racconta la storia di Daphne, programmata dalla mamma per essere la più sposabile ragazza del regno.

Dotata di grazia, bellezza e una sana dose di paraculaggine, si farà subito notare dalla regina che la eleggerà il diamante: la debuttante più ambita.

I fratelli Bridgerton si distinguono dai rampolli delle altre famiglie dell’alta società per bellezza, charme e una certa passione per accoppiarsi con personaggi scomodi nonostante i colori pastello dei loro abiti e la loro educazione impeccabile. Forse è colpa della loro mamma vedova che ha amato veramente loro padre insegnando loro, niente meno che bisogna trovare l’amore vero?

Ma ahimè la nostra Daphne è bella ma non balla e, proprio perchè troppo ambita, nessun corteggiatore si fa avanti…
Ma grazie alla sua tigna e a un patto, riuscirà a prendere in giro tutti facendo credere di far coppia fissa con con il duca di Hastings, un libertino che tutto vuole dalla vita tranne il matrimonio, che allontanerà così le insopportabili madri in procinto di appioppargli le loro figlie debuttanti a ogni giro di valzer.

Metà Darcy, metà Christian Grey, bello come il sole e scuro come la notte, il duca è interpretato dall’astro nascente Regé-Jean Page. Nato ad Harare, in Zimbabwe, è migrato quattordicenne in Inghilterra dove si è diplomato allo stesso Drama Centre di Londra ( la stessa scuola di Tom Hardy e Michael Fassbender).

Ma alla fine quella presa in giro sarà proprio la nostra Daphne, perché indovinate un pò…

Mi fermo perché vi ho detto già troppo ma non vi ho detto che segreti, amori e vizi dei nobili, hanno le ore contate se c’è in giro colei o colui che si firma Lady Whistledown. La serie è scandita dalle implacabili cronache mondane raccontate dalla misteriosa Lady Whistledown (doppiata in originale da Julie Andrews) nei suoi scandalistici “Society Papers”.

Ma chi è, davvero, Lady Whisteldown?
Serviranno otto puntate da 50 minuti l’una per capire chi si cela dietro quella penna assettata di gossip….

The Rhimes’ style

Bridgerton, non assomiglia a nessun altro sceneggiato in costume sulla vita dell’aristocrazia inglese di inizio Ottocento. C’è qualcosa che non smette di essere diverso, intrigante, sovversivo. Questo “qualcosa” risponde al nome di Shonda Rhimes. Se il suo nome vi dice poco forse le sue creature Grey’s Anatomy, Le regole del delitto perfetto e Scandal vi chiariranno che cosa è “The Rhimes’ style” : un misto di classicismo e spregiudicatezza.

Bridgerton, è la prima serie dell’accordo con Netflix, che la sceneggiatrice e produttrice firma con la sua casa di produzione Shondaland.

Shonda Rhimes aggiunge ai libri di Julia Quinn da cui è tratta la serie, qualcosa di moderno e molto sexy. Talmente sexy da vietarne la visione alle sue stesse figlie…

Punti critici e punti a favore

Nei personaggi secondari, Eloise, la sorella anticonformista che vuole fare la scrittrice e non la debuttante (che ci ricorda tanto Jo March) e l’adorata Pen ritroviamo i personaggi femminili liberi e progressisti che ci piacciono.

La presunta ascendenza di razza mista della Regina Carlotta, permette di immaginare una società più inclusiva e di rappresentarla in uno show in cui i neri detengono titoli e potere pari alle loro controparti bianche. Un bell’esempio di color-blind casting!

Ma tutto gira sempre intorno alla stessa domanda: riuscirà una donna intraprendente a far aprire il cuore a un uomo freudianamente ferito?

Ovvero: è giusto cambiare un uomo per raggiungere la propria felicità? E siamo sicure che l’emancipazione femminile debba passare sempre attraverso un uomo ci liberi insegnandoci a conoscere noi stesse, anche sessualmente?

Alla fine, se la prendiamo per quello che è, ovvero una serie trash-chic, per me è un sì (sopratutto in lock-down).

Vi consiglio però, di alternare la visione al documentario di Martin Scorsese su Fran Lebowitz in modo da arginare la melassa con una sana dose di cinismo newyorkese.

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@Milavagante