Ad un anno esatto di lockdown – da quella sera del 9 marzo in cui Conte ci preparava ad un risveglio in zona rossa, perché “tempo non ce n’è” – c’è qualcuno che grida al cambiamento, e si chiama Renato Brunetta: non quello che conoscevamo noi, però. Uno nuovo, perché quello dell’ultimo governo Berlusconi non esiste più, e oggi si fatica quasi a riconoscerlo.“Pa è lo stato, è il volto della Repubblica che si presenta nella vita di tutti i giorni, è la nostra vita, sono i servizi che fanno la nostra vita, le nostre tasse, determinanti per la vita e le imprese, quello che trasforma le regole e le istituzioni in servizi, cura, sicurezza” – ha detto il ministro per la Pubblica amministrazione, nel corso dell’audizione dinanzi alle Commissioni Lavoro e Affari costituzionali di Camera e Senato.
Dieci anni dopo aver coniato l’espressione “fannulloni”, Brunetta presenta così le sue linee programmatiche in audizione, aggiungendo che “Gli assi sui quali ci muoveremo nella realizzazione del programma del nostro governo è l’inizio di un nuovo alfabeto per la pubblica amministrazione: a come accesso, b come buona amministrazione, c come capitale umano e d come digitalizzazione”. E infine, ha concluso: “Tutto questo non si fa, non si realizza se non c’è coesione sociale, responsabilità. Questa è l’unica strada. E’ il momento di cambiare il nostro Paese. Il modello è per noi quello del dialogo sociale, della collaborazione tra attori responsabili che condividono un disegno e una visione e mettono a disposizione del paese le loro competenze e conoscenze per realizzarli”.
Brunetta: “Sì, allo smartworking”
Insomma, sembra proprio il caso di dire che “Solo gli stupidi non cambiano mai opinione”. Solo che lui ha un po’ esagerato. Nel sentirlo parlare di smart working, qualcuno ha seriamente pensato che si trattasse di un’imitazione di Crozza che gli faceva dire il contrario di quanto ha sempre sostenuto. Dopo aver detto “Basta, i lavoratori tornino in ufficio” – appena tre settimane fa al Corriere – il Brunetta draghiano ha infatti ribaltato completamente il suo pensiero, presagendo un cambiamento dentro di sé, più che nelle intenzioni: “Il lavoro agile è stato forse il più grande esperimento sociale di questa pandemia del nostro paese quindi non posso che pensare bene rispetto a questa rivoluzione culturale, personale, legata al lavoro e alle famiglie, che coinvolge l’intera società, le imprese e gli uffici“. Una rivoluzione culturale e personale sì: quella che sta scatenando lui con le sui stesse parole. Oggi, tra l’altro, farà riaprire la sala Verde di palazzo Chigi – quella della “concertazione” – per firmare, con i sindacati confederali alla presenza di Mario Draghi, il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, insieme ai segretari generali di Cgil, la Cisl e la Uil. “Con il Patto fisseremo le premesse per una relazione volta a costruire un nuovo modello di lavoro pubblico improntato alla valorizzazione delle persone, crescita delle competenze, produttività e migliore qualità dei servizi per cittadini e imprese”.
Davvero? Qualcuno continua a non credere a questo cambio di rotta, e sono gli stessi sindacati a temere maggiormente la fregatura. Quelle di Brunette sembrano solo titoli e slogan. Nessuno ha infatti commentato le sue parole. O forse sì: perché – a volte – il silenzio è più che eloquente.
Francesca Perrotta