Bruno Cerella, guardia dell’Umana Reyer Venezia, ha concesso un’intervista a Metropolitan Magazine. Un’occasione per parlare della carriera e della sua idea di atleta, facendo il punto anche su come Bruno stia vivendo questo frangente inedito. Ma non solo. Quando intervisti una persona come lui, viene naturale discutere di questioni che si discostano dai temi classici di un cestista. Non stiamo parlando di un “maniaco” della pallacanestro. Tra la palla spicchi e Cerella vi è un feeling diverso. Per lui il basket ha da sempre rappresentato uno strumento in grado di insegnargli valori per lui imprescindibili. Trasferiti, poi, in svariati ambiti. Da quelli legati alle cronache di spogliatoio fino ai progetti umanitari. A dimostrazione di come il ragazzo nato a Bahia Blanca non lasci niente al caso. In particolare per quanto riguarda l’attenzione ai rapporti sociali. Risulta difficile inserire Bruno in una ristretta categoria. Sarebbe poco coerente con il suo modo di pensare. Non gli piacerebbe. Bruno Cerella si affaccia alla vita come un cittadino del mondo. Un uomo entusiasta di vedere la realtà a 360 gradi.
Bruno Cerella, un esempio da seguire
Il percorso di Bruno Cerella piacerebbe molto a un pubblico americano. La classica storia di chi partendo dal basso ha sentito il dovere di scavalcare una realtà per tanti inaccessibile. Classica per modo di dire… quel mondo proibito per la maggior parte rimane tale, ma non per un’ ambizioso stacanovista come lui. Un viaggio iniziato in Argentina ma plasmatosi, caratterialmente e tecnicamente, nel nostro paese. Atterrato in Italia non ha, però, trovato un red carpet ad attenderlo. Infatti, il primo approccio di Cerella con i nostri parquet è avvenuto nelle minors. Bruno, ora come ora, ringrazia il cielo di essersi trovato catapultato in questo tipo di realtà. La tortuosa scalata verso l’olimpo del basket europeo gli ha permesso di dare un significato differente ai suoi successi:
“Credo che partire dalle serie minori per arrivare poi in Eurolega sia una cosa che ti fa dare valore ad ogni passo. Ho sempre dato importanza a tutte le esperienze. Ognuna di queste mi ha permesso di arrivare in Serie A solido mentalmente e consapevole che la strada che mi ero lasciato alle spalle era ricca di valori. Non solo tecnici. Ritengo che l’80% della carriera di un giocatore la faccia la testa. Questo ti permette di durare nel tempo e di condurre una carriera vincente. E con ciò non intendo soltanto alzare trofei. Vincente, per me, vuol dire essere la miglior versione di sé stesso. Di sicuro le persone che ho incontrato hanno dato valori aggiunti al mio percorso, perché alla fine credo che la vita sia condivisione“
Sì, può, quindi considerare Bruno Cerella un esempio di come con forti motivazioni e duro lavoro si possa raggiungere qualsiasi obiettivo?
“Umilmente credo di sì. Ho vissuto il basket con passione. Sono consapevole di non avere né il talento di Michael Jordan né il fisico di Lebron James. Mi sento un umile atleta che con dedizione al lavoro, costanza e sacrificio è arrivato ad alti livelli. Un ragazzo che, comunque, ha vinto e si è divertito al fianco dei compagni e dei tifosi. Sensazioni che ho sentito in qualsiasi posto in cui abbia giocato. Per me è sempre stato importante scendere in campo sapendo di essere apprezzato per quello che facevo. E questo affetto l’ho ottenuto anche con piccoli gesti, senza per forza segnare 20 punti a partita. Anche, perché, credo che all’interno di un gruppo vincente serva qualcos’altro. Ognuno deve interpretare il proprio ruolo nel modo più giusto. Lo dico perché come giocatore ho visto tanti compagni avere problemi con il pubblico. C’era chi non riusciva a sopportare le critiche e certi non avevano la forza mentale per trarne il meglio e reagire. A me non è mai successo. Anche nei momenti di difficoltà ho saputo chiedere aiuto e per fortuna, le persone intorno a me, hanno sempre risposto :”presente“
Il lavoro durante il lockdown
ILa chiacchierata si è poi spostata all’attualità. Il Coronavirus ha messo in stand-by tutti i discorsi relativi al campo. Si può, quindi, immaginare quanto sia stato difficile per un atleta come Bruno allenarsi con la stessa intensità. A maggior ragione quando mancano motivazioni tangibili:
“Per quanto riguarda gli allenamenti ho avuto grandi difficoltà, soprattutto perché manca il contesto di squadra. Per noi la parte dello spogliatoio è fondamentale. Cerco comunque di tenermi in forma per rispetto del mio lavoro. Ovviamente mi alleno con i mezzi che ho a disposizione. In casa ho una palestra, ma non c’è niente da fare… noi facciamo uno sport di squadra e la mancanza di contatto con i compagni si fa sentire eccome. Più passa il tempo e più ti ammosci dal punto di vista mentale e perdi stimoli. Ti viene difficile allenarti da solo. Ormai dopo qualche mese inizia anche a pesare. Noi siamo animali sociali,abbiamo bisogno degli altri. Io per fortuna ho altri interessi oltre al basket e ho quindi modo di incontrare delle persone. Ciò mi fa sentire felice. Io voglio fare i complimenti a chi ha vissuto bene stando sempre a casa per 2 mesi, per noi sportivi è stata veramente dura”
Cerella si sente grato di essere un cestista di successo. Parallelamente cerca, però, di guardarsi attorno per costruirsi un futuro nel nostro paese:
“Per fortuna nel corso degli anni sono riuscito a costruirmi una vita anche fuori dal campo. Ciò mi permette di avere un piano B e di crearmi la possibilità di scegliere, una volta terminata l’attività sportiva, se restare o meno in Italia. Il fatto che non ci sia il basket non lo tengo in considerazione. Continuo ad allenarmi quotidianamente. Questo sport è una parte della mia vita. Se si dovesse riprendere mi farei trovare pronto, anche perché più lavoro fuori dal campo e più mi rendo conto di quanto siamo fortunati noi atleti“
Bruno Cerella, “Leone d’Oro” in Laguna
Dopo la digressione relativa a questo incerto momento, la chiacchierata si è spostata su temi collegati al campo. Il 30 giugno Bruno Cerella diventerà free-agent. Terminerà, dunque, un’esperienza vincente come quella alla Reyer Venezia. Annate per Cerella ricche di soddisfazioni che si possono paragonare a un film di successo, in cui coach Walter De Raffaele ha saputo dirigere al meglio gli ottimi interpreti che aveva a disposizione. Bruno ha le idee chiare sul suo ruolo:
“In questo film io sarei stato l’organizzatore della “faccenda”(dice ridendo).In un film ognuno deve essere concentrato sul proptio ruolo. Il personaggio trovalo te… io darò del mio meglio per interpretarlo nel modo migliore. Non mi interessa quale sia”
Poi aggiunge:
“I trofei vinti con Venezia sono il risultato visibile di un ciclo vincente. Successi come lo Scudetto, la prima Coppa Italia e la prima affermazione in una coppa europea, hanno tutti avuto un peso importante. Mi piace, però, inserirli in un contesto più grande. Quello di un gruppo che ti fa stare bene e si diverte insieme. Noi quest’anno, paradossalmente, non abbiamo trovato continuità in campionato. Siamo, infatti, arrivati in Coppa Italia per miracolo. Nonostante questo a Pesaro abbiamo vinto contro tutte e tre le squadre con cui, tra l’altro, in Serie A avevamo perso. Abbiamo giocato benissimo e dunque più che meritato di conquistare la Coppa. Questo è lo sport no?”
Bruno Cerella: “Milano sulla retta via“
Prima dei successi di Venezia, Bruno è stato protagonista di ottime stagioni all’Olimpia Milano. Gli anni vissuti con i meneghini forse sono stati i più significativi della sua carriera. Milano è stato il primo top club per Bruno. Firma con l’Armani nel 2014. E da lì Cerella riesce a consacrarsi anche ad alti livelli. Infatti, la nuova avventura dell’argentino parte subito alla grande. Dopo un’appassionante Finale Scudetto con Siena, l’Olimpia Milano si laurea campione d’Italia. Il titolo numero uno per Bruno Cerella:
“Dal punto di vista personale quell’anno è stato speciale. Per la prima volta giocavo per una squadra con obiettivi ambiziosi. Poi, perché abbiamo riportato uno Scudetto che a Milano mancava da 18 anni. Ho giocato per la prima volta in Eurolega ed eravamo anche molto competitivi. Devo dire che è stato pazzesco. Sono arrivato in un ambiente in cui piano piano ho dovuto conquistare il rispetto e la fiducia di tutti. Dai compagni ai tifosi. E tirando le somme penso di essere stato apprezzato nel mio ruolo. Questa per me è una bella cosa, anche perché a Milano mi sono divertito e ho vinto. Poi lo sappiamo, vincere non è facile. Per questo sono convinto che faccia tanto lo spirito di squadra e non solo il talento individuale”
E sui motivi per cui l’Olimpia faccia fatica a tener fede alle aspettative di cui si circonda, Cerella non trova una risposta strettamente legata al campo. Secondo lui contano i valori all’interno di un gruppo:
“Non mi do una risposta tecnica. Una cosa importante da prendere in considerazione è la componente umana di un gruppo. Sappiamo bene quanto sia difficile far andare d’accordo gli ego di tanti giocatori forti, soprattutto nei momenti difficili. Quando si vince siamo tutti belli e bravi, ma è quando arrivano le difficoltà che è importante essere circondati da giocatori affidabili. Io credo che la squadra di Messina abbia dei grandi valori. Vedo, quindi, uno step in avanti. Hanno deciso di creare un roster di giocatori con notevoli caratteristiche sia tecniche che umane. Nelle scorse stagioni, invece, c’era qualche elemento tecnicamente forte ma con alcuni limiti comportamentali. Io trovo che giocatori di talento ce ne siano tantissimi, ma devono anche essere in grado di trasmettere qualcosa ai compagni. Essere degli esempi positivi. Per questo trovo ottima la mossa di portare a Milano uno come il “Chacho” Rodriguez. Un giocatore in grado di incarnare al meglio queste caratteristiche. Infatti quest’anno penso all’Olimpia come a un gruppo solido“
Soddisfatto del percorso, in futuro…
Come già detto, Bruno Cerella dà tanto peso ai valori umani. E’ un ragazzo molto sensibile verso l’altro, come dimostrato dal suo impegno al fianco di Tommaso Marino nel progetto Slums Dunk. Un qualcosa che rende fiero l’argentino, consapevole di quanto questa serie di iniziative abbia cambiato la vita di molte persone a contatto con contesti difficili. Il Covid-19 sta rendendo più complicato del previsto mantenere i rapporti con i loro collaboratori, ma ci sono comunque aspetti più che positivi di cui essere orgogliosi:
“I nostri progetti in Africa erano fermi, ma piano piano stiamo ripartendo con le nostre attività. I bambini tornano a fare sport. Sappiamo quanto questo sia importante per loro che vivono in realtà in cui il divertimento non è scontato. Far parte di una società sportiva come la nostra non è per tutti ed è un grandissimo valore aggiunto alla loro vita. Quest’anno difficilmente riusciremo ad andare in Kenya e in Zambia per formare i nostri allenatori. Stiamo, però, progettando una serie di interventi a distanza in modo da poter continuare a lavorare sulle loro necessità. Quest’anno ci hanno parlato molto dell’educazione emotiva. Trovo tutto molto bello, perché una volta non avevano nemmeno idea di cosa fosse. Invece ora cominciano a farci questa richiesta e ciò mi rende orgoglioso. Mi fa capire come i nostri coach siano interessati a gestire i gruppi partendo dal punto di vista umano. Sono bambini inseriti in un contesto difficile e, dunque, la parte emotiva è fondamentale nella loro vita. Spero sia possibile volare anche in Argentina, dove abbiamo appena avviato dei progetti”
La carta d’identità di Bruno Cerella dice 33 anni. Un’età in cui si può già iniziare a fare un bilancio della propria carriera e magari riflettere sulle prospettive future. Cerella valuta il suo percorso positivamente e per un domani non vuole chiudere la porta a nessuna opportunità:
“Sono molto soddisfatto di ciò che, in questi anni, ho seminato ed in parte raccolto. Credo che le cose più belle della mia vita arriveranno anche dopo la carriera da cestista. Per me il basket è un grande strumento che mi ha permesso di costruire una vita fuori dal campo. Sono intenzionato, quindi, a dare seguito ai progetti che ho già avviato. Mi piacerebbe dedicare maggiori attenzioni alla mia associazione e passare, dunque, più tempo nei paesi in cui abbiamo le nostre basketball academy. Vorrei estendere queste iniziative in altri paesi. Un’idea, questa, che mi riempie l’anima e che va oltre il lavoro. Non so se rimarrò nello sport, ma non voglio escludere nulla in futuro. Per il momento mi godo quello che ho. Dai miei investimenti nel mondo dell’edilizia allo studio. Farò un master alla Bocconi di cui sono anche testimonial. Queste sono esperienze che ti riempiono, anche perché permettono di confrontarsi con altre persone. Per me la vita non è solo il basket. Io spingo sempre gli atleti a preparare un Piano B. Non possono pensare di costruire un proprio futuro soltanto una volta terminata la carriera sportiva, bisogna rifletterci prima”
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