Bruno Neri, storia del “calciatore partigiano”

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Di Andrea Mari

Il 25 aprile è dedicato, in Italia, alla “Festa della Liberazione” dal regime tirannico nazi-fascista. È una data importante per ogni singolo italiano che testimonia la rinascita della libertà sotto ogni punto di vista. Il Ventennio aveva ghermito ogni aspetto della vita quotidiana assoggettando sotto al suo giogo ogni campo. Anche il calcio, ovviamente, non scappò dalla propaganda. I calciatori, prima del calcio d’inizio delle partite, dovevano esibirsi nel celeberrimo saluto romano prima di iniziare le “ostilità” nel rettangolo verde di gioco. Ma c’è chi disse no. Con coraggio. Bruno Neri, calciatore della Fiorentina, non si piegò mai al fascismo disertando il saluto ed imbracciando le armi per la Resistenza. È ricordato come il “calciatore partigiano“. Ecco quando il calcio si oppose alla dittatura.

Bruno Neri, un calciatore combattente

La libertà deve essere difesa con forza e coraggio. Esattamente come il proprio portiere durante i novanta minuti di gioco. Bruno Neri lo fece. In primissima persona. Rischiando e morendo in guerra. L’uomo nato a Faenza nel 1910 è divenuto uno dei simboli nella lotta antifascista combattuta durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma perché è così famoso? Principalmente per tre avvenimenti che hanno elevato la sua figura ad idolo popolare: il rifiuto, la lotta e la morte in guerra. Ma andiamo con ordine.

Bruno Neri è la perfetta sintesi della lotta del mondo sportivo italiano al nazi-fascismo. 13 settembre 1931, partita inaugurale dell’Artemio Franchi di Firenze. Sul terreno di gioco si scontrano Fiorentina ed Admira Vienna, squadra austriaca. Lo stadio è gremito: 12mila spettatori attendono, infatti, il calcio d’inizio della partita. Tra gli spettatori, ovviamente, sono presenti diversi gerarchi fascisti. Durante il Regime è consuetudine che tutti gli atleti omaggino il pubblico con il saluto romano e così, infatti, è fatto. Ma non Bruno Neri. Il calciatore dei viola, esponendosi in prima persona, non alza il braccio rimanendo imperturbabile. Alcuni direbbero “libero” da vincoli imposti dal potere. Il primo passo verso la leggenda.

La lotta armata e la morte sul campo di battaglia

Lasciare uno status da privilegiato come quello del calciatore per riversarsi nel turbine e nelle brutture della guerra è di per se un atto di coraggio non indifferente. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Bruno Neri imbraccia le armi e nel 1943 si unisce alla lotta partigiana assumendo il ruolo di comandante del Battaglione Ravenna, con il nome di battaglia “Berni”. La lotta non lo distoglie dalla sua passione per il calcio: nel 1944 partecipa al campionato Alta Italia vestendo la maglia del Faenza, la squadra della sua città natale. Sarà l’ultimo torneo: il “calciatore partigiano” muore il 10 luglio 1944 ad Eremo di Gamogna, sulle montagne dell’Appenino tosco-romagnolo dopo uno scontro con le milizie naziste.

Una vita vissuta inseguendo due passioni: il calcio e la libertà. Nel giorno dedicato alla “Festa della Liberazione“, Bruno Neri assume tratti mitici diventando il protagonista di una storia senza un lieto fine che ha contribuito significativamente al nostro presente…

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