Oltre trecento piani fungono da metafora per il sistema sociale nel film spagnolo “Il Buco“. Sette piani rappresentano il rifiuto della morte nel racconto di Dino Buzzati “Sette piani“. Una somiglianza che avvicina la vita quotidiana ad un limbo.
Il Buco e Sette piani
Il Buco, film spagnolo che è uscito in contemporanea con la quarantena, ha scosso gli animi degli spettatori spingendoli ad un’analisi critica della società. Il racconto di Dino Buzzati, Sette piani, allo stesso modo colpirà i lettori per le metafore simili a quelle della pellicola di Galder Gaztelu-Urrutia, spingendoli ad un indagine sulle proprie paure e sulla riluttanza nell’affrontarle.
Nel racconto di Buzzati l’avvocato Giuseppe Corte si reca in ospedale per un leggero male. Da subito scopre che, in ordine decrescente di gravità, l’ospedale si articola su sette piani. Al settimo i pazienti meno gravi, al limite della salute, al sesto quelli che hanno bisogno di qualche cura in più e così via fino ad arrivare al secondo, dove risiedono i gravissimi, e all’ultimo, dove vivono coloro che non hanno più speranze.
Corte risiede al settimo e svolge le sue analisi quando, un giorno, un infermiere gli chiede di trasferirsi temporaneamente al piano inferiore per dare il posto ad una madre e ai suoi due bambini. Riluttante l’avvocato accetta e scende. Da qui in poi una serie di eventi completamente al di fuori della volontà dell’avvocato lo porteranno ad una terribile discesa perenne. L’uomo passerà tutto il tempo a rifiutare la sua posizione, sperando sempre di poter risalire i piani dell’edificio fino a raggiungere il settimo per poi uscire, ma così non avviene.
Il Buco, allo stesso modo, rappresenta tramite una critica sociale la condizione della civiltà secondo il detto Homo homini lupus. Quelli che risiedono nei piani più alti si interessano solo di coloro che sono a loro superiori, trattando con atroce indifferenza gli ospiti a loro sottostanti. Così come nel racconto di Buzzati la discesa (o la salita) avviene per motivi che fuggono dalla comprensione umana.
Per decisione del Caso o per scelte prese durante la vita i protagonisti affrontano i diversi livelli, con ostinata speranza. Sia Corte che Goreng attraversano i piani con il desiderio di raggiungere la cima e di fuggire dal luogo nel quale consapevolmente si sono introdotti.
Il messaggio in comune
Da un lato una società che continuerà a distruggere i suoi membri fin quando questi non capiranno che la convivenza è una valida alternativa al cannibalismo sociale (e non). Dall’altra un animo che non accetta l’idea della morte nemmeno quando è l’unico modo che gli si pone per evadere da un destino incontrollabile.
Le due storie rappresentano i due diversi modi in cui l’uomo può affrontare il dramma di un destino che non dipende da lui in alcun modo. Nel racconto di Buzzati l’avvocato rifiuta la sua condizione senza mai veramente affrontare i suoi carnefici. Nel film di Galder Gaztelu-Urrutia, invece, il protagonista abbandona ogni speranza tramite un gesto ultimo e significativo.
In entrambe le storie, infine, vi è un perenne senso di attesa per qualcosa che non avverrà mai. Da una parte l’attesa della guarigione da parte dell’avvocato Corte. Dall’altra l’attesa di giungere ai livelli più alti, così da essere, per una volta, il più privilegiato, e l’attesa della fine della permanenza in quell’inferno su trecento piani.
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