Dopo l’uscita e la delusione di Old, sul lavoro di M.N. Shyamalan è stata gettata un’ombra intrisa di dubbi e sospetti. Chi è davvero M.N. Shyamalan? Di che tipo di autore stiamo parlando? Fin dai suoi primi titoli ha dimostrato di sapersi destreggiare bene tra autorialità e cultura pop, strizzando l’occhio al mondo dei supereroi e dei fumetti. Ma quando nel tempo il genio lascia il passo all’abitudine e quando i risultati richiamano qualcosa di già fatto e già detto, cosa rimane di un autore iconico dello scorso decennio?
Conosciuto al grande pubblico grazie a opere come Il Sesto Senso (1999) e The Village (2004), successivamente, spopola con la trilogia sui supereroi borderline: Unbreakable (2000), Split (2016) e Glass (2019). Ma è con l’horror The Visit (2015) che M.N. Shyamalan segna ufficialmente il suo ingresso nell’olimpo di quegli autori che hanno fatto del genere horror una cifra stilistica per parlare di cortocircuiti drammatici e ironizzare sui dispotismi umani. Per questo quando nel 2021 è stato rilasciato Old la delusione ha superato talmente tanto le aspettative che, a posteriori, è facile riconsiderare il film come un film mediocre ma di certo non brutto. Il vero problema del 2021 è stato quello di guardare Old con l’aspettativa del capolavoro.
Bussano alla porta e il ritorno di M.N. Shyamalan
A salvare l’ultimo lavoro del regista probabilmente è stata la sua visione senza aspettative – che sarebbe l’unica condizione con cui, ahimé, prepararsi a qualsiasi visione. Bussano alla porta non è un capolavoro senza errori ma è un ritorno a una condizione intimistica del regista, non a sproposito il film si svolge all’interno di una casa. Tuttavia, non si tratta di una casa familiare, non è il tetto domestico fatto di abitudini quotidiane. Gli eventi si svolgono in una casa vacanze di una famiglia omogenitoriale borghese con una figlia piccola. E questo non è un caso se pensiamo al fatto che il film racconta della minaccia di distruzione di un’altra casa: la Terra. La minaccia alla famiglia diventa la minaccia al genere umano mentre la casa, la nostra Terra, viene distrutta dalle non scelte dei suoi inquilini/abitanti.
M.N. Shyamalan, da sempre molto a attento a individuare gli incubi e i disturbi ossessivi dei contemporanei, in Bussano alla porta decide di confrontarsi con la grande paura, con la notte dei tempi, con il doomsday. Qualunque sia il suo nome, l’autore decide di ridurre un evento gigantesco all’intimità di una famiglia, deragliando il treno dai grandi temi alle singole responsabilità, fino alla riduzione della narrazione al problema della filosofia etica del carrello ferroviario. Siamo disposti a sacrificarne uno per salvare tutti? E se quel qualcuno fosse la persona che amiamo di più e tutti gli altri coloro che ci hanno fatto sentire sbagliati o in pericolo? Nel mezzo intervengono veri e propri cavalieri dell’Apocalisse che con la loro morte segnano un ulteriore passo verso la fine dei tempi.
Bussano alla porta: il problema del riduzionismo didascalico
Ma l’ultimo film di M.N. Shyamalan non è scevro da difetti, anzi. Il problema risiede in un eccessivo didascalismo che rimanda in continuazione a una narrazione troppo semplice e semplicistica. Ed è in questo senso che questa volta M.N. Shyamalan fa la cosa più pop di tutte: rendere alla portata di tutti le responsabilità sociali. Forse quello che da sempre ha intenzione di fare M.N. Shyamalan è quello di rendere facile qualcosa di complesso, perseguendo costantemente il rischio di una riduzionistica percezione del problema rispetto al suo portato emotivo e culturale.
Ma non è forse così che fanno i supereroi? M.N. Shyamalan si assume dei rischi, a volte vince e a volte perde. Nello spazio che va dalla mediocrità di Old fino all’eccellenza di The Visit si aggira un autore che analizza il suo tempo e che combatte il male con gli strumenti che possiede. Allo stesso tempo non dimentica mai la chiave ultima con cui poter accedere alle emozioni umane, ovvero del sano, vero, puro divertimento nelle sue sfaccettature più assurde e contraddittorie (angoscia, ansia, gore, ironia, amore e così via). Infine, nell’eccessivo didascalismo di una narrazione che non vuol dire nient’altro che quello, si sviluppano le intenzioni di un autore appassionato della cultura e dell’uomo e che fa della sua sensibilità il vero superpotere con cui non farsi avvincere dall’Apocalisse.
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Benedetta Vicanolo