Matteo Renzi ha commentato lo strappo di Carlo Calenda con il Pd. Una rottura che per il leader di Italia Viva ha reso ancora più forte la possibilità di pensare a un Terzo Polo, alternativo a centrodestra e centrosinistra. Questo nuovo centro potrebbe formarsi dall’unione di Italia Viva e Azione e avrebbe anche già un nome per il candidato premier:
«Se il Terzo Polo è forte abbiamo un obiettivo: il nostro candidato premier è Mario Draghi, perché è l’unico che può andare in Europa a trattare il patto di stabilità. Se la Meloni e Salvini non avranno i voti sufficienti per fare il governo da soli proporremo di continuare e Draghi». Renzi ha approfittato dello spazio su Zona Bianca anche per attaccare l’ex compagno di partito Enrico Letta, accusandolo di aver sbagliato tutta la strategia delle alleanze: «Enrico Letta è la quinta essenza dell’errore strategico, le ha sbagliate tutte poverino. Più asino di Buridano che occhio di tigre». In tutto questo ha teso una mano ancora una volta a Calenda per chiudere sull’alleanza Azione-Italia Viva: «Calenda? Vediamo cosa vuole fare lui, se ha voglia di fare un ragionamento serio noi ci siamo. La scelta deve essere basata sulla politica: condividiamo o no che vanno fatti termovalorizzatori e rigassificatori? Noi abbiamo totale disponibilità».
Le polemiche tuttavia non finiscono. Se Calenda in tv ribadisce ancora la sua versione («Letta ha firmato un patto con noi, che diceva una cosa, e poi un altro patto con altre forze che dicono l’opposto. E lo avevo avvertito per tempo che in questo modo non era possibile presentarsi in modo coeso»), gli ex compagni di Più Europa danno una versione diversa («ci sembra che Letta abbia rispettato il patto, dal momento che era noto a tutti che aveva intese anche con Fratoianni, Bonelli, Di Maio e Tabacci»).
Al di là delle polemiche, Calenda ha ora un problema pratico non di poco conto: la divisione con i Radicali di Più Europa lo priva dell’esenzione dalla raccolta delle firme per poter presentare il simbolo entro le ore 16 del 14 agosto. Un’impresa improba, in pochi giorni e con molti certificatori in vacanza, anche per partiti più strutturati e radicati sul territorio di Azione: normalmente si devono presentare dalle 1.550 alle 2mila firme per ognuno dei collegi plurinominali; quest’anno, visto che la legislatura è finita in anticipo, il numero minimo di sottoscrizioni è dimezzato. Considerando che dopo il taglio del numero dei parlamentari le circoscrizioni alla Camera sono 245, per ognuna di esse vanno dunque raccolte almeno 750 firme. In tutto 36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato dove le circoscrizioni sono più grandi. Dal quartiere generale di Azione fanno trapelare ottimismo: «I segnali sono buoni, la raccolta partirà nelle prossime ore».
Cosa succederà, in concreto, tra Renzi e Calenda?
Il leader di Italia Viva potrebbe cedere all’ex ministro il ruolo di front runner del raggruppamento centrista e rinunciare anche al cognome nel simbolo. Senza +Europa, Azione deve infatti raccogliere le firme in una settimana in tutti i collegi dello Stivale. Non è impresa facile (in tutto ne servono almeno 36mila circa, meno rispetto al passato dopo il taglio dei parlamentari). Fino a ieri sera, nell’entourage di Calenda ritenevano che la raccolta firme ci sarà, anche se secondo loro non è indispensabile: “La legge ci esenta – questo pensano i calendiani – perché Azione, quando si chiamava “Siamo Europei”, ha ottenuto l’elezione di Calenda alle Europee”. Potrebbe non essere così semplice però. Infatti quel simbolo non è mai stato attestato e l’interpretazione dei costituzionalisti è incerta. Il rischio che non venga riconosciuto dall’ufficio elettorale c’è. Si scoprirebbe alla presentazione delle liste e, andasse male, significherebbe game over.