Varcata la soglia della città di Dite, Dante e Virgilio si ritrovano immersi in un silenzio denso. Davanti a loro una campagna sterminata, nessun demonio a guardia, e nessun dannato; solo un gran numero di sepolcri scoperchiati da dove provengono lamenti disarticolati, talmente profondi da non intaccare la densità di quel silenzio e di quella solitudine. È il sesto cerchio dell’inferno,(Canto X) quello riservato agli eretici, coloro che non credettero nell’immortalità dell’anima.
Gli epicurei, i materialisti ai quali come pena, oltre al fuoco purificatore, è concesso di vedere solo il lontano futuro e non il presente. Pena che diventerà più grande quando nel giorno del giudizio il tempo non esiterà più, e loro piomberanno cosi nella più totale cecità.
Canto X, Farinata degli Uberti
È qui che Dante ad un certo punto viene scosso dalla voce di un dannato: è Farinata degli Uberti, il più famoso capo ghibellino della Firenze del XIII secolo. Schiena dritta e fronte alta, Farinata con il quale avrà il dialogo considerato più teatrale della divina commedia, è visto e descritto da Dante con grande rispetto. Nel suo lato virtuoso infatti egli lo considera un modello, uno spirito grande, coraggioso: un perseguitato politico come lui. Un uomo che amava la sua Firenze almeno quanto lui. L’amava a tal punto da considerare l’inferno una pena meno grande di quella di non esservi potuto tornare; di non essere stato riconosciuto dai Fiorentini come vero unico salvatore della città.
Farinata durante il dialogo con Dante, che ci farà fare un viaggio in quella che fu la rivalità fra guelfi e ghibellini, e che altro non è che una ripresa grandiosa del tema di Firenze iniziata nel VI canto, predirà a Dante l’esilio. Per un momento però il dialogo fra i due viene interrotto da un’anima che l’altezzoso Farinata guarderà quasi con disprezzo: è Cavalcante dei Cavalcanti.
Cavalcante dei Cavalcanti
Padre di quel Guido Cavalcanti, che fu grande amico di Dante e figura di spicco del dolce stil novo, il dannato sentendo la voce del poeta, solleva dal sepolcro soltanto la testa per guardarsi intorno, come a cercare qualcuno. Diversamente dagli inquisitori in tempo di persecuzione politica, Dante colloca così anche un guelfo fra quei dannati.
Cavalcante deducendo che un Dante vivo sia li per meriti dell’ingegno, chiede come mai suo figlio Guido non sia insieme a lui. Quando il poeta gli dirà che al figlio non è stato concesso perché disprezzò la teologia, sconfortato dal tempo verbale usato dal poeta, e credendo così il figlio morto, tornerà nella tomba. Tutto questo confermerà a Dante l’incapacità di quei Dannati di vedere in morte il presente, che era l’unico tempo nel quale avevano invece creduto in vita.
La profezia
Turbato dalla profezia di Farinata, Dante esortato da Virgilio proseguirà il suo viaggio aspettando di incontrare Beatrice. Sarà lei infatti che gli spiegherà quale sarà il corso della sua vita, il suo cammino futuro.
E sarà con questo turbinio di pensieri in mente, che giungerà sull’orlo del cerchio successivo dal quale avvertirà arrivare un fetore insopportabile.
Cristina Di Maggio
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