Il Dantedì di oggi è dedicato al XV Canto dell’Inferno dantesco. Ci troviamo nel settimo cerchio, esattamente nel 3° girone, dove Dante e Virgilio incontrano i violenti contro Dio nella natura. Centrali sono, dunque, i peccatori di sodomia.
Il 3° girone: la schiera dei sodomiti presso il sabbione infuocato
E’ ancora il 9 aprile 1300, sabato santo, all’alba. Dante e Virgilio procedono sugli argini del fiume Flegetonte e si ritrovano in una landa desolata, delimitata dalla selva dei suicidi: è formata da un sabbione arroventato sul quale piovono fiamme; i due poeti riescono a proteggersi dalla pioggia di fiamme grazie al vapore caldo che lo stesso fiume emana. Lungo il tragitto, incontrano le anime ospitate nel cerchio, che guardano i due come si osserva qualcuno in una notte di novilunio, stringendo gli occhi come fanno i vecchi sarti quando devono infilare l’ago nella cruna. Sono i sodomiti.
I peccatori del XV Canto e la passione “contro natura”
Le anime, divise in gruppi distanziati tra loro, camminano incessantemente sul sabbione rovente, colpite dalle fiamme, e possono difendersi soltanto con il movimento delle braccia. La pena dei sodomiti ricorda le fiamme mandate da Dio per distruggere la città di Sodoma. Il motivo del fuoco allude, poi, al rogo al quale nel Medioevo erano condannati i sodomiti. La pena stessa corrisponde per analogia alla passione innaturale che in vita “arse” i peccatori.
Il XV Canto e il colloquio con Brunetto Latini
Tra i peccatori, vi è un personaggio dal volto tumefatto che riconosce Dante, meravigliandosi della sua presenza in un girone infernale nonostante sia ancora in vita. Si tratta di Brunetto Latini, uomo politico fiorentino e notaio di parte guelfa. Il poeta lo colloca nel 3° girone del VII Cerchio, benché della sua omosessualità non vi siano altre fonti oltre alla sua e a un accenno del Villani che lo definisce “mondano uomo”. L’episodio è un’affettuosa rievocazione del suo antico maestro, ma anche una ferma condanna della sua condotta peccaminosa.
Brunetto fa parte di una particolare schiera di sodomiti, che include letterati e chierici, fra i quali spicca il vescovo Andrea de’ Mozzi. Il colloquio affettuoso comprende inoltre i complimenti del notaio per il successo letterario ottenuto dal suo discepolo: i meriti letterari e morali hanno, infatti, condotto Dante in questo viaggio nell’Aldilà.
La profezia di Brunetto Latini: l’esilio di Dante
Interessante passo del Canto sono i versi 55-99, in cui Brunetto Latini predice l’esilio di Dante da Firenze: se si trovasse ancora in vita, il politico fiorentino cercherebbe in tutti i modi di difendere il poeta. Nonostante, infatti, quest’ultimo otterrà la gloria per le sue doti letterarie, i fiorentini, duri di cuore, lo ostacoleranno. Le fazioni dei Bianchi e dei Neri vorranno arrecargli danno ma Dante, “pianta” discesa dagli antichi e nobili romani fondatori di Firenze, sfuggirà ad entrambi.
Ed elli a me: “Se tu segui tua stella
non puoi fallire a glorioso porto,
se ben m’accorsi ne la vita bella…”
Dante dichiara di prendere atto della oscura profezia, riservandosi di farsela spiegare meglio da Beatrice quando la raggiungerà. Il poeta aggiunge inoltre che è pronto ai colpi della fortuna, in quanto ha già udito una simile profezia.
La colpa del maestro, prigioniero di una dimensione materiale e terrena
Nel XV Canto, Dante tace volutamente sui contenuti specifici del magistero di Brunetto. Allo stesso modo è taciuta anche la sua colpa di sodomita, alla quale il poeta, forse per pudore, non accenna mai: il lettore può carpire il peccato del notaio fiorentino soltanto dalle parole dense di repulsione e di vergogna con cui Brunetto Latini descrive i suoi compagni di pena (lerci, turba grama, tal tigna). Ciò su cui comunque Dante si focalizza è la necessità di meditare sulla condanna di Brunetto, che sia stato sodomita o meno: è stato, in qualsiasi caso, un uomo esemplare.
Tuttavia, Dante vede molto duramente l’omosessualità, appoggiando la visione biblica dell’argomento e, in genere, l’intransigente tradizione giudaico-cristiana. La sodomia è addirittura più grave della lussuria: quest’ultima è una debolezza che non stravolge i principi della natura. La sodomia, invece, sovverte totalmente la natura, perché non orienta l’impulso sessuale alla procreazione: è quindi una forma di violenza contro Dio e le sue leggi.