Canto XXIX dell’Inferno e l’incontro di Dante con gli alchimisti

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Di Redazione Metropolitan

La rubrica del Dantedì oggi giunge al Canto XXIX dell’Inferno, dove il nostro autore narra le vicende vissute da lui e il suo amico Virgilio nella IX e X Bolgia dell’VIII Cerchio infernale. Ruolo centrale nella narrazione è quello dei falsari, qui puniti come seminatori di discordia e alchimisti.

Dante tra IX e X Bolgia, un viaggio tra i falsari

E’ il 9 aprile 1300, tra l’una e le due del pomeriggio. Dante guarda attentamente la nona Bolgia attirando l’attenzione di Vigilio: il poeta fiorentino, infatti, non era mai stato così intento e commosso all’ingresso delle altre Bolge. Dante spiega, dunque, che tra i dannati, i seminatori di discordia, doveva esserci un suo parente. Si tratta di Geri del Bello, che rimprovera al poeta di non aver vendicato la sua morte violenta. Quindi, dopo averlo visto, non gli rivolge neanche la parola. Mentre i due poeti parlano, raggiungono il ponte che sovrasta la X e ultima Bolgia.

I peccatori della X Bolgia: gli alchimisti

I falsari, Canto XXIX, Inferno. PhotoCredit: Scuolissima.com.
I falsari, Canto XXIX, Inferno. PhotoCredit: Scuolissima.com.

Quando i due poeti sono arrivati sul ponte, Dante sente provenire dal basso dei lamenti così pietosi da doversi tappare le orecchie con le mani. Lo spettacolo è repellente: assomiglia a quello offerto dagli ospedali. I falsatori di metalli (alchimisti), infatti, hanno la scabbia e la lebbra; non riescono a stare in piedi, sono appoggiati l’uno all’altro o si trascinano per la bolgia, sono coperti di croste e si grattano furiosamente la pelle. Come volgare fu la loro colpa, così volgare è la loro pena.

Passo passo andavam sanza sermone, 
guardando e ascoltando li ammalati, 
che non potean levar le lor persone.   

L’incontro con Griffolino d’Arezzo e Capocchio, i dannati del Canto XXIX

Dante vede due lebbrosi appoggiati l’uno all’altro e Virgilio chiede loro se fossero italiani. Uno dei due, Griffolino, afferma di provenire da Arezzo e di essere stato condotto al rogo da Albero da Siena, perché per scherzo gli aveva promesso di insegnargli a volare. E’ però nella X Bolgia per la colpa di alchimia. Dante prende spunto dalle parole di Griffolino e osserva che i Senesi sono un popolo di incredibile vanità, maggiore persino di quella dei Francesi.

L’altro dannato lo sente e afferma ironicamente che tra gli abitanti di Siena devono essere salvati alcuni personaggi, tra i quali Stricca dei Salimbeni, che si diede a spese pazze, suo fratello Niccolò, che introdusse in cucina l’uso dei chiodi di garofano, e tutta la cosiddetta “brigata spendereccia“, che il poeta, però, condanna aspramente. Alla fine si presenta: è Capocchio, alchimista bravo a contraffare metalli.

La brigata spendereccia, Codex Altonensis. PhotoCredit: Wikipedia.
La brigata spendereccia, Codex Altonensis. PhotoCredit: Wikipedia.

I temi del Canto XXIX, dall’elemento autobiografico alla condanna dell’alchimia

Il Canto XXIX dell’Inferno dantesco è chiaramente suddiviso in due sezioni, di cui una più grande dell’altra. La prima è quella dedicata alla IX Bolgia, in cui sono puniti i seminatori di discordie. Tra questi viene citato un parente dello stesso Dante, con il quale non corre buon sangue. E’ proprio qui che, naturalmente, si inserisce l’elemento autobiografico del canto, con l’intento di coinvolgere in modo diretto e psicologico Dante. La seconda sezione, più ampia, è dedicata alla X Bolgia, dove sono puniti gli alchimisti. E’ importante qui sottolineare che l’alchimia nel Medioevo era considerata una scienza. Il poeta, dunque, condanna i falsari di metalli, i falsi alchimisti, cioè coloro che approfittarono delle proprie conoscenze per arricchirsi, ingannando il prossimo.

Una caratteristica che lega indubbiamente entrambe le sezioni è il realismo da commedia. Lo scenario della decima bolgia ripropone i toni realistici già tipici delle Malebolge, ma dopo le prime crude immagini delle membra piagate, si stempera in un clima di commedia. Con le arguzie dei protagonisti nell’episodio di Griffolino, la burla vince sul dramma e con Capocchio prevale l’ironia.

Martina Pipitone