Un giudice federale degli Stati Uniti ha stabilito che i documenti della Casa Bianca che potrebbero coinvolgere l’ex presidente Donald Trump nell’attacco dello scorso 6 gennaio a Capitol Hill possono essere rilasciati alla commissione del Congresso che indaga sulla violenza.

Secondo la corte, “l’interesse pubblico consiste nel consentire – ma non ingiungere – la volontà combinata dei rami legislativo ed esecutivo di studiare gli eventi che hanno portato agli attacchi e di prendere in considerazione una legislazione per impedire che tali eventi si verifichino mai di nuovo”.

Molto prima del 6 gennaio 2021, ovvero prima che avesse luogo l’assalto a Capitol Hill, diversi segnali erano circolati a proposito di un evento potenzialmente violento che si sarebbe potuto verificare a stretto giro. Segnali presumibilmente sottovalutati dall’Fbi statunitense e dalle altre forze dell’ordine di Washington che non sono riuscite ad agire in anticipo, sulla base di una segnalazioni registrate, per bloccare tempestivamente o quanto meno fronteggiare l’attacco al Campidoglio andato in scena il 6 gennaio scorso, appena due settimane prima dell’insediamento della nuova amministrazione di Joe Biden. Di questa e altre responsabilità si occupa l’inchiesta pubblicata oggi dal Washington Post, una lunga analisi che ha coinvolto 60 giornalisti che hanno lavorato per circa 5 mesi, raccogliendo oltre 230 interviste ed esaminando migliaia di pagine di documenti, insieme a video, fotografie e registrazioni audio.

Sono tante e significative le informazioni che sono arrivate nei giorni prima dell’assalto ai funzionari che si occupano della sicurezza della Casa Bianca. In particolare, l’inchiesta riporta di una soffiata arrivata all’Fbi il 20 dicembre scorso, secondo la quale i sostenitori del presidente uscente Donald Trump stavano discutendo su canali online su come fare a introdurre armi nel distretto di Washington a causa dei controlli della polizia. Stando a questa pista, a dicembre dunque era già noto che un gruppo di persone, convinto di prendere ordini da Trump, stava pianificando le violenze al Campidoglio. Nelle chat analizzate, sembra che i rivoltosi usassero parole in codice come «piccone» per indicare le pistole senza farsi scoprire. Inoltre, secondo quanto scoperto, sui canali venivano pubblicati gli orari e le posizioni di quattro punti di ritrovo in tutto il paese in cui incontrarsi prima della mobilitazione collettiva.

Stando al Washington Post, c’era addirittura il nome in chiaro di un senatore come bersaglio da colpire: Mitt Romney, repubblicano dello Utah. Non a caso, Romney è stato uno dei sette repubblicani del Senato che hanno votato per condannare Trump con l’accusa di incitamento all’insurrezione, mossa dalla Camera dei Rappresentanti durante un secondo impeachment dell’ex presidente. Sembra inoltre che un funzionario dell’Fbi abbia notato prima dell’assalto un numero «importante» di avvisi relativi alle minacce al Congresso e ad altri funzionari di governo. Ma quando queste informazioni sono state inviate alle forze dell’ordine a Washington, la questione non è stata approfondita e nessuna misura preventiva è stata presa. Sono più di 600 le persone accusate di aver preso parte alle violenze. Più di 100 agenti di polizia sono rimasti feriti, uno è morto il giorno successivo e quattro si sono uccisi nei mesi a venire.