“Casinò”: la storia vera sul tavolo a Las Vegas di Martin Scorsese stasera in tv

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Di Federica De Candia

“Quando ami una persona, devi fidarti di lei. Non c’è altro modo. Devi darle la chiave di tutto quello che è tuo. Altrimenti a che serve? E per un po’ ho creduto di avere un amore così“. L’amore o il gioco d’azzardo, chi dei due ha tradito Sam “Asso” Rothstein? La classe in sigaro portato alla bocca, pantaloni avana, scarpe bianche su di una giacca rosa. Scende da una Cadillac Eldorado dell’82. Un dandy, un gangster ebreo, il conquistatore del Nevada degli anni ’70, interpretato da un magico Robert De Niro. Stasera in tv “Casinò“: “Quelli come me Las Vegas li ripulisce dai peccati“. L’amore è il vero lusso in un deserto di sentimenti.

La città non sarà più la stessa, dopo il Tangiers. Distese di tappeto verde. Più ridenti di un prato, erano i tavoli da gioco del più grande Casinò del deserto, il Tangiers. “A quel tempo Las Vegas era un posto dove milioni di fessi arrivavano ogni anno con le loro monetine e ci lasciavano quasi un miliardo di dollari”. Giocare e tornare. Più giocano, più perdono. Questa la regola per Robert De Niro. L’incallito, astuto giocatore, ma anche ‘l’Asso‘ bleffato dall’amore. Tutto si compra con i soldi di quel paradiso artificiale del deserto. Tutto, meno che l’amore.

Scorsese cala l’Asso

In qualunque altro posto ero un allibratore, un giocatore d’azzardo, sempre a guardarmi dietro le spalle, inseguito dagli sbirri giorno e notte, ma qui sono il signor Rothstein, non solo sono regolare ma gestisco un casinò, che è come vendere alla gente sogni in cambio di contanti“. A parlare è Sam “Asso”. ‘Suonala ancora Sam‘, verrebbe da dire, rievocando altre lontane, atmosfere africane. Perché le sue parole sono come musica: “Mandare avanti un casinò è come svaligiare una banca senza poliziotti in giro.” Ispirato ad un personaggio realmente esistito, che per Martin Scorsese, regista del film del 1995, rappresentò la sua materia prima, la fonte d’ispirazione, tra lotte di potere, affari sporchi, malavita. Tutto questo in un solo personaggio, tra l’altro ancora esistente: Frank “LeftyRosenthal. Lo conosceva tutto il Nevada. Direttore di casinò, e marito di una ragazza meravigliosa con un passato da Cali girl. Lui, il suo trionfo e la caduta, furono già protagonisti del romanzo di Nicholas Pileggi (autore anche di “Quei bravi ragazzi“, 1990), a cui il film “Casinò” stasera in tv, si è ispirato.

Lo stesso Rosenthal, l’autentico, classe 1929, con il soprannome di “Lefty” (mancino), che certo non aveva bisogno della visibilità di un film, collaborò in qualità di supervisore alla storia, assicurandosi che venisse raccontata la verità dei fatti. Un tipo da gestire con cautela. Questi fornì una serie di informazioni introvabili, ottenendo in cambio di poter incontrare De Niro, di cui era da sempre un fan. Suggerendogli confidenzialmente, i segreti per una perfetta interpretazione di se stesso. Ad esempio, ha sempre odiato la scena in cui Sam si esibiva in un numero da giocoliere nel suo show televisivo. Sosteneva che lo facesse apparire ridicolo, e lui non aveva mai fatto una cosa simile. Nella pellicola compaiono anche il sindaco di Las Vegas, con il ruolo di comparsa. E veri poliziotti specializzati nella lotta alle truffe, il personale del casinò, e star dello spettacolo locali, utilizzati come comparse o collaboratori. La vera impresa fu trovare persone disposte a rivelare le tecniche per barare al casinò.

Casinò, l’amore piglia tutto

Las Vegas era una città senza memoria. Il posto dove si andava per riprovarci. Era la città americana dove la gente andava dopo un divorzio, dopo una bancarotta, dopo un soggiorno anche breve in galera. Era la destinazione finale per quelli che guidano attraverso mezzo continente in cerca dell’unico lavaggio macchine della morale della nazione.” Vuole prendersi Las Vegas, l’incallito giocatore d’azzardo, Sam “Asso”De Niro, che parla della vita come muove le fisce sul velluto: abile di mano, baro quando vuole. Prende il nome dalla sua maestria nelle scommesse, da quell’asso nella manica che ha sempre a disposizione. Fregato soltanto dall’amore, calato sul piatto, una carta bugiarda, un bluff.

E fu così che in quel posto ci infilarono Asso. Volevano lui perché mangiava, dormiva e respirava gioco d’azzardo. Gli trovarono anche una qualifica di lavoro fasulla: direttore pubbliche relazioni del Tangiers, ma la sola cosa che ha mai diretto è stato il casinò. La sua prima scommessa la fece a quindici anni e ha sempre guadagnato soldi. Ma non scommetteva come me o voi, sapete, tanto per divertirsi, stronzate del genere… era preciso come un neurochirurgo del cazzo“. Nel cast Joe Pesci in Nicky Santoro, ispirato al vero gangster Anthony Spilotro, braccio destro armato di Sam e stecchino in bocca; e Sharon Stone in Ginger McKenna, una truffatrice di strada nel giro di prostituzione e droga, che il protagonista sposa e con cui ha una figlia. Per l’interpretazione, la Stone venne candidata all’Oscar e vinse il Golden Globe. Scelta per la parte tra Madonna, Melanie Griffith, Cameron Diaz, Uma Thurman, Michelle Pfeiffer, Nicole Kidman. Eppure il regista, pare mancò l’appuntamento per il provino con l’attrice per ben due volte. Tanto che Sharon rifiutò il terzo appuntamento, e si recò in un ristorante italiano con un’amica. E Scorsese, la raggiunse come un principe al locale offrendogli il ruolo.

Le luci del deserto

Quando James Woods, scelto per il ruolo di Lester Diamond, sfruttatore della Stone, venne a sapere dell’interesse di Scorsese a lavorare con lui, lasciò un messaggio alla segreteria del regista: “In qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, qualsiasi parte, con qualsiasi compenso”. “Ci sono un fottìo di buche nel deserto, e in quelle buche ci sono sepolti un fottìo di problemi. Solo che lo devi fare bene.. Devi aver già scavato la buca prima di presentarti con un pacco nel porta bagagli.. In quattro e quattr’otto ti tocca scavare altre buche e cazzo ci puoi restare tutta la notte“. Quando le mille luci di Las Vegas si offriranno agli occhi nel loro scintillio, dobbiamo ricordarci delle tombe clandestine immerse nel buio del deserto. Buche per nascondere cadaveri. Una scenografia valorizzata dall’arte di Dante Ferretti; solo per i costumi il film costò 1 milione di dollari. Azione in velocità, narrazione fuori campo, bellissime croupier. “Sotto l’occhio del cielo che controlla tutti”. Mentre i dialoghi, Robert De Niro e Joe Pesci, per la maggior parte, incredibilmente, li hanno improvvisati. La parola fuck, è la più presente nel film. Stasera in tv sembrerà di sentire De Niro cambiar voce, perché in “Casinò” verrà doppiato da Gigi Proietti, non il suo solito Ferruccio Amendola.

Scorsese in un’intervista disse di aver realizzato un film “selvatico“. Che non si risparmia in niente, amaro, aspro, dove l’azzardo è nella vita, non solo su una puntata del casinò. Dove lo spettatore ha il capogiro dal rumore delle slot machine, dal giro impazzito della manovella, e il lancio dei dadi che da visibilio. Vince sempre il banco, anche sulla sorte. “Fu l’ultima volta che a dei ragazzi di strada come noi veniva dato qualcosa che valeva tanto”. Era quel Tangiers, tempio nella città del peccato, meravigliosa creatura del dio denaro, il dono per quei ragazzi di strada ‘cresciuti’. “Cosa credete che facciamo qui in mezzo al deserto? Si tratta di tutti questi soldi. E’ il risultato finale di tutte le insegne luminose, dei viaggi omaggio, di tutto lo champagne, le suite d’albergo gratuite, tutte le donnine e tutte le bevute“. Sì, il sistema era infallibile. Non era scientifico ma funzionava.

Scommetto sul croupier

Sono in molti a non accettare “Casinò” come seguito di “Quei bravi ragazzi“, film dello stesso regista, e con gli stessi attori De Niro e Pesci. In “Quei bravi ragazzi” c’è New York che scorre sullo sfondo delle vicende, una presenza protettiva, mai invasiva, mentre Las Vegas in “Casinò” è padrona assoluta della vita dei protagonisti. Robert Roten, ha duramente stroncato il film definendolo «pieno di buone occasioni sprecate». Mentre Umberto Contarello scriveva: “Il personaggio di Sharon Stone è come una belva in gabbia perché lei è più forte della narrazione”. ‘Una donna presa dalla strada’, a cui si regalano dei tacchi di cristallo, e che è capace di rivoltare a piacimento l’Asso dei Casinò.

Sorseggiano Martini, lucidano le canne delle pistole, sempre in giacca e cravatta; sotto, le note struggenti omaggio all’Accattone di Pasolini, con la “Passione secondo Matteo” di Bach, sui titoli di testa come una liturgia, una parabola. Risuonano le note di “The house of the rising sun” dei The Animals del 1964, sul finire del film, sugli istanti del tracollo fisico e morale di Sharon Stone oramai drogata e abbandonata da tutti. E i brani “I Can’t Get No Satisfaction”, “Can’t You Hear Me Knocking” dei Rolling Stones, Tony Bennet con “Who Can I Turn To“, B.B. King, e Dean Martin, figlio di immigrati italiani. “Una volta i croupier sapevano il tuo nome, cosa bevevi, a cosa giocavi… oggi è come all’aeroporto; e se chiedi il servizio in camera sei fortunato se ti arriva per giovedì. Oggi è tutto finito”. Anche il Tangiers, epopea del deserto, spegnerà le sue luci. Un nome di fantasia, tra crudeltà reali, perché il vero casinò si chiama Stardust.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema