Il caso cecchettin ci esprime quanto è necessaria una critica femminista e strutturale, invece che questo inquietante Gran Guignol di una stampa ossessionata dal macabro.
Con il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin nella zona del lago di Barcis, in provincia di Pordenone, l’indagine ha cambiato volto. Siamo arrivati, tristemente, a ciò che tutte le donne che seguivano la vicenda in cuor loro, col magone, sentivano: l’ennesima donna è morta. Non è “scomparsa” col fidanzato, quell’uomo l’ha uccisa. Noi, col cuore in gola, scorrevamo le notizie e sentivamo i telegiornali aspettando o il miracolo o la triste conclusione a cui siamo ormai abituate. Muoiono donne in modo ingiusto, ingiusto come il Gran Guignol che molto giornalismo fa poi rotare attorno a queste tragedie.
Arriviamo al fermo di Filippo Turetta in Germania, vicino a Lipsia. Il ragazzo viene fermato con l’accusa di omicidio aggravato e arrestato a bordo della sua auto. Filippo ovviamente era in fuga. Un giudice tedesco valuterà il Mae, il mandato di arresto europeo: bisogna valutare cosa fare sulla consegna del giovane alle autorità italiane.
Le indagini:
Ricostruiamo le indagini grazie a Skytg24
I due scompaiono, c’è chi parla di “fuga d’amore” e altre congetture, ma alle lettrici di queste notizie inizia a gelare il sangue. La sorella di Giulia, in un’intervista, non ha neanche il coraggio di verbalizzare chiaramente il macabro pernsiero che abbiamo avuto tutte, dicendo solo “speriamo che non sia quello che pensiamo”.
Prima del ritrovamento del cadavere di Giulia tutte le attività “erano dirette alla ricerca” dei due ex fidanzati, “si pensava e si sperava che i ragazzi fossero insieme e fossero vivi, seppur con un certo coartamento (costrizione, ndr) nel trasferimento e nella fuga” secondo il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi ad Antenna Tre Veneto. Però le telecamere di sicurezza di una ditta di Fossò, in provincia di Venezia, hanno registrato Filippo aggredire Giulia. Kì sono stati ritroviati sangue e alcuni capelli, un coltello spezzato e a nastro adesivo. Fa storcere un po’ il naso quel che sul momento disse il procuratore Cherchi :
“Dobbiamo accertare se e a cosa sia servito il nastro. Potrebbe essere del tutto non collegabile alle nostre indagini”. È quindi necessario che si facciano gli accertamenti con il Dna per vedere la compatibilità”
ha aggiunto, che è pienamente lecito, ma mi sembra che non serve nemmeno scomodare Occam per capire che probabilmente il collegamento tra il video dell’aggressione e il sangue è evidente. Tuttavia, per il funzionamento di una giustizia garantista, è anche comprensibile che così abbia reagito. Ci chiediamo solo, noi donne, se qualcosa si poteva fare, se in qualche modo si poteva agire, per salvarla.
Il ritrovamento di Cecchettin e Filippo in fuga
Perché ecco che a distanza di sette giorni dalla scomparsa, avviene, avviene quel che tutte sapevamo. Sabato 18 novembre il cadavere di Giulia si trova nella zona del lago di Barcis, Pordenone. Si attende l’autopsia sul corpo, ma dall’ispezione cadaverica esterna vediamo che la causa della morte della ragazza è le svariate coltellate. Coltellate feroci che l’hanno colpita alla testa e al collo. Il corpo della ragazza presenta ferite da difesa alle mani e alle braccia: ha cercato di sopravvivere, ma non c’è l’ha fatta. Lui, dopo averla pugnalata, l’ha gettata nel bosco, dove il corpo era ancora sorprendentemente integro dopo una settimana. Il procuratore capo di Venezia dice:
“Sarà disposta un’autopsia per accertare esattamente le cause della morte“
Compito che va a entrambi i medici legali che hanno eseguito le fasi del recupero del corpo di Giulia, per le indicazioni anche di tempo e luogo. Nel frattempo lui fugge. Filippo fugge, perché non deve più affrontare una ragazzina ma lo Stato, e non vuole rendere conto delle sue crudeli gesta. Un ragazzo che non ha esitato a togliere la vita alla sua compagna, tenta una goffa e fallimentare fuga.
La fuga di Filippo inizia a Fossò, dove ha ammazzato Giulia. L’ultimo avvistamento dell’auto risaliva a domenica 12 novembre. Il mezzo, localizzato in Austria, viene raffigurato dai sistemi di controllo stradale di Lienz, nel Tirolo orientale, e in Carinzia. Filippo viene riconosciuto, è su tutti i giornali. Si ritroveranno banconote sporche di sangue negli ATM del suo percorso, con cui avrà pagato benzina e altro. Filippo lo fermano in Bassa Sassonia, nel sud della Germania, sull’autostrada A9 all’altezza della cittadina di Bad Dürrenberg. Filippo era a circa 150 chilometri da Lipsi.. I poliziotti tedeschi si sono quindi fermati per un controllo e hanno riconosciuto il giovane e la targa, che era stata segnalata dall’Interpol.
Ora cosa succederà? Anzitutto l’estradizione
Filippo deve essere preso in custodia dalle autorità locali e per quanto riguarda la sua estradizione in Italia bisogna attendere i tempi tecnici. Un giudice tedesco dovrà infatti valutare il MAE (il mandato di arresto europeo). Se il ragazzo accetta il ritorno nel nostro Paese, potrà tornare in 10 giorni. Altrimenti, i tempi si allungheranno fino a circa 60 giorni.
In attesa della decisione, Turetta ha diritto ad avere un legale, un interprete e il gratuito patrocinio. Al termine dell’iter vedremo la consegna alle autorità italiane attraverso lo SCIP, ovvero il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia. Lo SCIP opera presso la Direzione centrale della Polizia criminale. Gli agenti andranno a prendere il 22enne in Germania e poi lo porteranno in Italia. Qui verrà eseguito l’ordine di custodia cautelare in carcere.
Giulia Cecchettin muore due volte: il Gran Guignol della Stampa e della Politica
La sorella di Giulia, Elena, ha detto che l’uomo che ha ucciso Giulia è figlio della cultura dello stupro e del patriarcato. Come dice Jennifer Guerra: “Nel caso di Cecchettin, l’indifferenza di fronte a certi comportamenti è stata la più chiara manifestazione della cultura patriarcale.” Jennifer Guerra utilizza un’ottima figura retorica:
In un articolo sullo storico giornale femminista off our backs, Alyn Pearson spiega la cultura dello stupro attraverso la metafora del tifo e dell’influenza stagionale. Siamo abituati a pensare che lo stupro sia come il tifo: una malattia improvvisa ed epidemica che colpisce una popolazione a causa di comportamenti sbagliati. In realtà, lo stupro somiglia più all’influenza stagionale, una malattia non epidemica ma endemica, ovvero che ormai è entrata a far parte dell’ambiente che ci circonda. Proprio perché così comune, l’influenza è oggetto di miti e saggezza popolare (“Se prendi freddo, ti viene l’influenza”) e tutti si aspettano di esserne affetti prima o poi nella vita. L’influenza si diffonde perché le persone la sottovalutano, starnutiscono senza mettersi la mano davanti al naso o vanno in giro anche se hanno la febbre. Ma come è possibile vaccinarsi per l’influenza, così anche per la cultura dello stupro.
Jennifer Guerra su Fanpage
Quello che quindi fa specie, osservando l’evento in una misura ultronea alla successione dei fatti: è la sua narrazione. Il giornalismo che si impelaga nei dettagli più morbosi della vicenda, che insiste nelle viscere del dolore dei familiari, che ci mostra tutto il dolore che una famiglia vorrebbe tenere per sé, uccide Giulia per la seconda volta. Questo macabro teatro che ruota e balla attorno a Giulia ci distrae da Filippo. Filippo “le faceva i biscotti” dicono certe testate, tacendo sul Filippo geloso, sul Filippo che odiava che la sua ragazza si stesse laureando prima di lui. Filippo non è un mostro, è un prodotto di una società che non vuole riconoscerlo, perché riconoscerlo significherebbe osservare la necessità di cambiare strutturalmente.
E a chi ha dato della “satanista” (Valdegamberi, gruppo misto) a Elena Cecchettin per la sua felpa Trasher (nota marca Skater, tornata di moda per via della sua distribuzione di massa attraverso i canali di Fast Fashion quali Zara e H&M) dimostra, nel migliore dei casi una desolante ignoranza, ma nel peggiore dimostra una crudele e fredda, cinica e meschina malafede. Giulia muore di Patriarcato, e c’è chi ancora scrive che questo è “morire d’amore”. Non c’è amore in questa vicenda, se non nel cordoglio della sua famiglia. Quanto prima si smetterà di parlare in modo sbagliato delle notizie di femminicidio, quanto prima forse le vittime di esso saranno di meno.
Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine