Cosa vuol dire vivere in una società la cui storia è sempre appartenuta al dominio maschile? Significa confrontarsi con retaggi patriarcali, indottrinamenti squisitamente sessisti, ma camuffati al sapor di normalità e abitudine. Esperienze e dinamiche sociali perverse ci hanno portato, nel corso del tempo, a giudicare dei comportamenti sessisti e violenti come ‘abitudinari’ e ‘normali’. Primo fra tutti: il cat calling.
Il cat calling (o molestia di strada) è così radicato nella cultura di massa da essere deprivato, molto spesso, del suo connotato volontariamente violento e aggressivo. “Che vuoi farci? Capita!”, “Anche ai miei tempi capitava molto spesso che gli uomini ti fischiassero per strada e facessero apprezzamenti, che vuoi che sia”. Misurarsi con atteggiamenti e mentalità atte ad esorcizzare sbrigativamente e con disinvoltura una pratica ‘pervertita’, comporta una serie di conseguenze. In primis: superficializzare. Episodi di cat calling contemplano anche pratiche di masturbazione pubblica che, volenti o nolenti, risultano essere una violenza nei confronti dell’altro sesso.
Di pochi giorni fa la vicenda, nel maceratese, di una ragazza (S. T.) vittima di un grave episodio di molestia di strada. Stando ai fatti raccontati nel video dalla ragazza stessa (e condiviso nelle pagine social personali), la giovane (22 anni) sarebbe uscita alle 6.45 del mattino. “Ho visto un uomo che mi seguiva, e mi sono sbrigata a tornare a casa”; “a un certo punto mi ha chiesto delle informazioni su un posto, ho risposto per cortesia, ho abbassato lo sguardo e ho notato che si stava masturbando”.
La ragazza, oltre a sorreggere il peso di una violenza subita, deve misurarsi con un altro molestatore, martellante e insidioso: l’ ‘hate speech’ per aver condiviso sui social una video-testimonianza. Si dimentica, tuttavia, che non è così scontata la presa di coscienza di essere stati vittime di una violenza (o molestia che sia), ben che meno la conseguente condivisione social della vicenda. Parlare, denunciare, testimoniare per intorpidire un comportamento fin troppo assiduo. Tuttavia, per molte persone non risulta così facile sporgere denuncia. Molto spesso all’atto fisico e offensivo si deve anche aggiungere la componente psicologica che catapulta la vittima in un girone di vergogna ingiustificata. Una violenza è una violenza, e l’invito è sempre quello di denunciarla.
Per intenderci, battaglie per i diritti umani non si sono fatte in sordina e nascoste all’opinione pubblica. Come rendono benissimo le parole di Lea Melandri nel saggio ‘Amore e violenza’ è “come se l’evidenza, che passa sotto gli occhi di tutti, per strada o alle fermate della metro, quando accendiamo la televisione o sfogliamo un giornale, avesse avuto bisogno, per rendersi visibile, di una scossa dall’esterno”. Ogni piccolo gesto è fondamentale a diffondere coraggio e solidarietà.
Meno recente quello che è successo a Mariachiara Cataldo, Francesca Penotti, Giulia Chinigo e Francesca Sapey. La testimonianza social della prima ha convinto le altre a creare una rete di contatti di ausilio alle vittime di violenza. Moltissime donne hanno accolto l’invito e si sono esposte. Il post è diventato un manifesto, le quattro amiche ne hanno fatto un movimento social antiviolenza che si chiama «Break The Silence Ita».
A chi rivolgersi se si è vittime di cat-calling?
Ci sono tantissimi centri anti-violenza che offrono assistenza psicologica, accoglienza e ospitalità. Il telefono rosa è sempre attivo al numero 1522. Il 1522 è un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero, gratuito è attivo 24 h su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.
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