Catcalling: a che punto siamo in Italia?

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Di Francesca Mazzini

Dalla fusione dei termini “cat” (gatto) e “calling” (chiamare), per catcalling – o molestia di strada – si intende una serie di comportamenti sgradevoli solitamente messi in atto da sconosciuti per strada nei confronti di un soggetto casuale (donne ma non solo). A che punto siamo in Italia? Vi anticipiamo che ancora non esiste una legge che punisca questo fenomeno nello specifico.

Il catcalling consiste in molestie verbali, apprezzamenti più o meno volgari, offese, fischi, gesti, versi e battute a sfondo sessuale rivolti alla vittima, spesso riguardanti l’aspetto fisico. Questo tipo di comportamento aggressivo avviene in strada, da parte di sconosciuti. Solitamente le vittime sono donne, ma di frequente il catcallling colpisce anche persone appartenenti a minoranze etniche, disabili, omosessuali o transessuali.

Il fenomeno del catcalling nella società

In generale quando si parla di catcalling, molti tendono a sminuirne la gravità che assume all’interno della società. Per tanti infatti si tratta di complimenti “innocenti”. Quante volte vi è capitato di sentire frasi come “era solo un apprezzamento”, “che male c’è in un fischio”, “ti ho solo detto ciao bella non te la prendere, esageri”? Così si sottovaluta il catcalling, perché dietro tale fenomeno si cela una scarsa stima della donna. In questo modo si asseconda la concezione maschilista che riduce la donna esclusivamente ad un oggetto del desiderio, diventando bersaglio di frasi sessiste e volgari.

Chi fa catcalling non intende usarlo come metodo di approccio, bensì in un’ottica di supremazia nei confronti della vittima. Si tratta a tutti gli effetti di una violenza di genere, motivata dalla volontà di prevaricare il sesso femminile. Durante il catcalling si cerca di ristabilire le dinamiche di potere uomo-donna, di mantenere alto il vessillo della mascolinità tossica davanti magari al gruppo di amici.

Nella società italiana, l’espressione del consenso mediante chiari segnali di disponibilità costituisce un tema spinoso e difficile. Inoltre, è comune, purtroppo anche tra le donne, romanticizzare la molestia definendo l’uomo molestatore incrociato per strada come un corteggiatore maldestro e l’atto del catcalling come un’attenzione lusinghiera di cui andare fiere. Tutto ciò è estremamente pericoloso perché significa legittimare atti discriminatori, espressione di una mentalità sessista, fedele al patriarcato. 

I sentimenti di chi subisce il catcalling sono diversi e contrastanti tra loro: rabbia, impotenza, disagio e senso di colpa. Spesso infatti la vittima pensa che la molestia sia causata da un suo modo di fare o dal proprio abbigliamento. Perché una donna nel 2022 ancora non deve sentirsi libera di girare tranquilla – di giorno e di notte – a prescindere da ciò che indossa? Perché dobbiamo avere paura e sentirci a disagio? «Non vi si può dire nulla», dicono, quando una ragazza si lamenta di un uomo che le ha commentato il sedere per strada. Attualmente il problema non è che non ci si può dire nulla, perché chiunque è libero di parlare con chi vuole, portando però il rispetto che merita e soprattutto non prendendosi la confidenza che nessuno gli ha concesso. Queste sono discriminazioni sessuali che violano il principio della parità di trattamento tra uomini e donne.

Catcalling: la situazione normativa in Italia

In Italia non esiste ancora un reato specifico per il catcalling. Le uniche norme che si avvicinano all’argomento sono gli articoli 612 bis e 660 del Codice Penale, ma nessuno dei due riguarda il catcalling.

L’articolo 660 del Codice Penale punisce con l’arresto fino a sei mesi o con un’ammenda “chi in un luogo pubblico o aperto al pubblico, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno disturbo o molestia.” Ciò che differenzia il catcalling dal reato di molestie o di disturbo alle persone è il bene giuridico protetto dalla norma: tradizionalmente, si ritiene che questo crimine intenda punire il turbamento alla pubblica tranquillità e non la dignità della persona molestata. 

Ugualmente difficile è inquadrare il catcalling nell’ambito degli atti persecutori (stalking) di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale, perché esso scatta solo se le molestie vengono reiterate nel tempo, a condizione inoltre che la vittima subisca un pregiudizio concreto (ansia, timore per la propria incolumità, cambio di abitudini).

Nel 2017, nonostante le difficoltà di catalogazione giuridica del catcalling, la Corte di Cassazione ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 660 del c.p nel caso “dell’insistente comportamento di chi corteggia, in maniera non gradita, una donna, seguendola per strada, così da costringere costei a cambiare abitudini, essendo tale condotta rivelatrice di petulanza, oltre che di biasimevole motivo”.

Dunque non ci resta altro che sperare che al più presto il legislatore effettui un intervento normativo ad hoc per disciplinare e punire il catcalling. Perché si tratta di molestie e non di complimenti. Un intervento da parte dello Stato italiano è urgente e necessario. 

Questo fenomeno viene spesso banalizzato, ridotto a semplici apprezzamenti senza alcun intento di molestia. Ma si tratta di  parole e gesti che nella maggior parte dei casi non sono richiesti, non fanno piacere, sfociando in discriminazioni sessiste. Fischi, battute, allusioni sessuali, domande invadenti, insulti, suoni di clacson, inseguimenti per strada o in macchina sono molestie, non complimenti

Francesca Mazzini

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