Non ci sarebbe vita senza viaggio, alcune volte viaggiamo con il corpo, altre volte è la nostra mente a partire. Poco importa la forma, quello che ci tiene vivi è la curiosità, trovare ricchezza nelle differenze degli altri e nel mondo intorno a noi. A ricordarmelo è arrivato Chef Joe con il suo nuovo singolo “Ti capisco”, fuori dal 22 gennaio su tutte le piattaforme.

Chef Joe è un rapper romano presente nella scena ormai da qualche anno, esordisce nel 2010 con il primo disco “Alzati e Cammina” e anche grazie alla collaborazione di Gemitaiz, Madman e Tempoxso riesce a prendersi la sua fetta nella scena underground. Nel 2012 dopo l’uscita di “Me fotte 0”  Joe parte per il Brasile, lasciandoci in sospeso. Dopo essere passati circa sette anni, torna a fare uscire nuova musica con le sembianze di un moderno Marco Polo per portare un po’ di Sud America nelle nostre orecchie, ci dà un assaggio della sua ritmicità, dei suoi colori e sapori esotici, ma non ce ne risparmia i disagi e le difficoltà.

 “Ti Capisco” è un brano di una grande maturità artistica che spicca tra le sue uscite di questo passato 2019 sia per la sua natura più scarna, fatta di un semplice contrasto tra voce e piano, sia per i suoi contenuti crudi e intimi. Ci parla di tutte quelle cose che ha compreso di ritorno dal viaggio in Brasile, aspetti importanti della vita spesso oscurati da piccolezze che hanno valore solo nell’immediato.

Una sua personale redenzione verso tutta la gente che non gli dà credito, verso tutti i coltelli ferocemente puntati alla schiena da chi poi ti dice di non averlo fatto apposta. È un racconto duro e autentico, Chef Joe si spoglia, arriva dritto al punto senza girarci intorno. “Ti Capisco è un pezzo che non avrei potuto scrivere senza il Brasile. Gli anni che ho passato lì mi hanno cambiato, quando ho sentito il beat ho cominciato a scrivere d’impulso, quasi come se dovessi ricordarmi quali sono le cose realmente importanti. È la canzone più sincera che abbia mai scritto.”  

Il video della canzone è uscito in mash-up con “Una cosa”, un brano di natura e atmosfere opposte dove Chef Joe racconta il Brasile del “baille”, il testo disimpegnato accompagnato da un’accomodante ritmicità latina rendono il pezzo spensierato e fresco, qui il viaggio viene fuori in tutta la sua musicalità. Il suo bipolarismo artistico viene così a galla, le differenze tra i pezzi accostati l’uno all’altro raccontano le due facce della medaglia della sua esperienza sudamericana.

Ascoltando “Una Cosa” troviamo l’estate e la voglia di fare festa, il Brasile come ci viene descritto dalle immagini del Carnevale di Rio, in “Ti capisco” scopriamo tutte le fragilità, Joe ci butta dritte in faccia verità dure da digerire ma che dovevano essere raccontate. 

Chef Joe con questa uscita ci ha dimostrato tutta la sua poliedricità e schiettezza, noi di Futura 1993 lo abbiamo intervistato per sapere qualcosa di più sul suo progetto e farci spiegare come questo viaggio lo abbia cambiato artisticamente.

Com’è stato approcciarsi nuovamente alla scena dopo essere stato fuori diverso tempo?

Sicuramente è stato stimolante tornare e confrontarsi con molti cambiamenti. Devo dire che però non ho cercato nessun approccio alla scena, mi sono dedicato alla costruzione del mio team e soprattutto ho passato molto tempo a fare musica. Detto questo il mio non è snobismo alla “non ascolto rap italiano”, semplicemente credo che ci sia un’overdose di dissing e brani autocelebrativi figli delle dinamiche della scena, io ho un altro percorso, e probabilmente ora sono l’unico che veramente è un outsider. Anche sui social comunico solo musica, perché sono focalizzato su quello

Nel lasso di tempo in cui sei stato in Brasile la scena rap italiana ha vissuto profondi cambiamenti, gran parte per merito dell’arrivo della trap. Venendo dalla vecchia scuola come ti muovi tra le nuove tendenze? Il ritornello di “Juiz” mi ha ricordato in particolare “Sportswear” della Dark Polo

Mi è sempre piaciuto sperimentare le novità e non sono mai stato un nostalgico: c’è un pezzo, “Io Pensavo Che”, nel mio primo disco (“Alzati e Cammina”, 2010) in cui uso l’autotune e non è neanche l’unico. Non sono neanche dentro alle polemiche relative agli strumenti, seguo solo il mio gusto personale e tornando in Italia quando ho visto la diffusione del rap ho pensato solo “finalmente”. La trap è stata la chiave perché ha reso tutto più semplice anche per il pubblico, è ancora difficile ottenere il riconoscimento come cultura vera e propria da certi media ma la strada secondo me non può che essere quella anche in Italia.

“Juiz” invece è l’unico pezzo che è a metà fra il mio vecchio me e il nuovo, è un brano dove mi lascio alle spalle tutte le polemiche classiche del rap game e do la mia visione, forse a livello sonoro fa parte un po’ di quel filone di trap lì, nel significato invece è proprio un’altra cosa. “Juiz/ viado/ Barbie/ Ken Bang/ Juiz viado” è un coro da stadio brasiliano che equivale al nostro “arbitro cornuto”, “Barbie, Ken Bang” simboleggiano la finzione e il paradosso. È un po’ quello che vedo adesso nel rap game e motivo del mio distacco: molti gridano all’ingiustizia perché non ottengono il premio che desiderano, e secondo me il paradosso è che nessuno può ottenerlo. Per me chi valuta la musica in base ai numeri è in una sorta di caverna di Platone perché non ne gode mai.

Una delle cose che contraddistingue il rap game sono le frecciatine che vengono a crearsi tra gli artisti. Il tuo ultimo pezzo “Ti capisco”; dice proprio tra le prime barre che è dedicata a tutta la gente che non ti dà credito, in questo senso vivi la musica come una rivincita su chi ti ha dato contro?

In “Ti Capisco” c’è un discorso molto differente da quello di “Juiz”. È un brano in cui parlo in maniera molto personale e quindi l’ho scritta pensando più che altro a persone della mia vita privata a cui voglio bene e che in qualche modo ho deluso, per questo è proprio in un pezzo così delicato e non è tanto rivincita quanto una personale redenzione, in fondo il titolo del disco è “Jesus Te Ama”. In “Juiz” invece non ci sono frecciatine, c’è più una presa di posizione, dire “in questa scena rap sono Vissani” è un po’ dire: “dico quello che penso a modo mio perché conosco la materia prima e come usarla”.

CheF Joe - Ph © Daniele Pace
CheF Joe – Ph © Daniele Pace

”Ti capisco”  ha una dimensione più intima dove la semplicità del contrasto piano e voce rende naturale avvicinarsi a te, si sente che stai parlando senza filtri ed è il brano che ho più apprezzato. Una realtà quasi opposta ai tuoi altri singoli che hanno sonorità decisamente più pop e come tu stesso hai riferito un tuo pezzo “un classico tormentone estivo”. Come convivono queste due realtà e in quale ti senti più a tuo agio? 

Tutte le realtà convivono perché nessuna può esistere senza l’altra, e questo vale anche per le anime che caratterizzano gli altri brani, ognuno nella sua particolarità. L’altro brano a cui ti riferisci è “Una Cosa” che è un pezzo in puro stile funk brasiliano e gioca un po’ con la percezione di “tormentone” in Italia. Non è un caso che abbiamo scelto con Fexs di girare il videoclip di un mash up proprio fra questi due brani così opposti e distanti: “Una Cosa” rappresenta ciò che viene mostrato, nella percezione di “vendibile”, “stile di vita vincente”, una realtà virtuale che nasconde il lato più fragile e personale, rappresentato da “Ti Capisco”.

In più “Una Cosa” è ricca di citazioni al funk brasiliano, è culturale, volevamo uscire fuori dal cliché: sono tornato in Brasile di recente e quando ho messo questo brano ballavano tutte. Anche l’altro pezzo a cui ti riferisci, “L.A.” in realtà è un omaggio a tutte le culture del mondo, fra gli altri ho citato Goethe e Joyce anche se è su un beat reggaeton, il senso è che c’è sempre più di una chiave di lettura.

Chef Joe - immagine dal profilo Facebook
Chef Joe – immagine dal profilo Facebook

“Una cosa” ha un beat decisamente reggaeton, una ritmicità “lambadiana” che mi fa volare dritta in Sud America, la tua esperienza brasiliana viene musicalmente a galla. Come ha influito quest’ultima nel tuo modo di fare musica?

Ha influito tantissimo, ho conosciuto molte persone differenti, stili di musica. Questo mi ha fatto cambiare idea radicalmente su tante cose, anche nella musica. Ho apprezzato da subito il rap e il funk brasiliano, il “baille” è fondamentale nella cultura brasiliana, è una festa di quelle serie, il vicino della prima casa che avevo mi ha fatto ascoltare praticamente ogni cosa e quindi per me è stato molto facile, grazie a lui ho conosciuto parecchi ragazzi in fissa con il rap che mi hanno mostrato la loro realtà.

Il Brasile ha anche una cultura profonda di jazz, samba, bossanova, rock, in generale è un paese enorme e quindi ha tantissime influenze diverse e in questo ne ho beneficiato perché ho ascoltato e vissuto molti luoghi e sensazioni completamente diverse da quello che conoscevo. Ho riportato questo nei pezzi in maniera molto naturale, ne ho acquisito spensieratezza in alcuni casi e passionalità in altri.

Chef Joe - immagine dal profilo Facebook
Chef Joe – Ph © Daniele Pace

Sempre ascoltando “Una cosa” non ho potuto non fare caso ad apprezzamenti più o meno espliciti sul corpo femminile, la frase “penso solo che culo c’hai” per esempio non lascia fraintendimenti. Credi che in parte la musica contribuisca ad alimentare alcuni stereotipi sulle donne?

Non credo sinceramente. Nella mia rima c’è attrazione, passione, non un giudizio ad una donna come essere umano: va contestualizzata, è un pezzo che potrebbe suonare ad un “baille”, che è un contesto di festa assoluta, guardatevi qualche video su YouTube e capirete il senso della rima, e di come in realtà sia un aspetto culturale che in quel contesto è vissuto con normalità assoluta. Lo stereotipo casomai si porrebbe se dicessi che è bella e stupida.

Il rap sarà sempre un racconto della realtà degli artisti che lo fanno, ci saranno sempre brani in cui vengono descritte uomini e donne di vari caratteri e non si può prendere alla lettera né condannare gli artisti che lo fanno come sta succedendo questi giorni con Junior Cally. Quante volte tutti noi esageriamo nella rabbia? L’arte è sentimento e la rabbia, il rifiuto sono sentimenti, non ha senso prendersela con la voce che li canta: sarebbe stato meglio usare quel brano nei suoi contenuti che come polemica.

Chef Joe - Ph © Daniele Pace
Chef Joe – Ph © Daniele Pace

Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Componi da solo i tuoi beat?

Ho un rapporto molto personale, viscerale con la scrittura anche se non sempre arrivo con il testo completo in studio, ci sono molte parti improvvisate nei testi. Non scrivo sempre, ho periodi di iperproduzione in cui faccio anche tre brani al giorno, e periodi anche lunghi in cui non scrivo nulla. Non soffro di questo, lo vivo con molta naturalezza perché so che mi basta trovare lo stato mentale per concentrarmi. I beat sono di Wokem Bemo, che cura la parte musicale insieme a me e a Davide Dell’Amore.

Mi piace esserci in tutte le fasi del processo creativo, in studio sono sempre presente ed è così anche per quanto riguarda le foto, i video e tutto, cerco sempre di dare la mia impronta perché so che così tutti quelli del team possono reinterpretare i concetti e dare la loro visione che a quel punto è personale ma coerente.

Ci tieni in sospeso lasciando uscire un singolo per volta, come le vecchie serie in tv. Farai uscire un disco con pezzi inediti per farci fare del sano “binge watching” oppure sarà una raccolta dei singoli già usciti?

Uscirà un disco entro il 2020, il titolo sarà “Jesus Te Ama”, e ci saranno tutti i brani che sono usciti fino ad ora ed altri. Non dico di più sulla natura dei brani, a febbraio arriveranno novità che parleranno da sé.

Chef Joe - Ph © Daniele Pace
Chef Joe – Ph © Daniele Pace

I tuoi anni di esperienza ti precedono, sei ormai attivo dal 2008 e mi viene da pensare che tu non senta più molto l’ansia da palcoscenico. Quando i prossimi live e con che tipo di set ti troveremo?

Sono tornato live l’anno scorso, ospite nello show di Eddy Harper con JDR ad una serata di RUM e ti dico la verità è stato molto emozionante. È sempre stata la parte che mi è piaciuta di più e ho fatto molta gavetta da questo punto di vista, suonavo senza la doppia voce già nel 2011 e non vedo l’ora di portare “Jesus Te Ama” live. Sicuramente non farò date prima dell’estate; mentre escono i pezzi stiamo lavorando sullo show perché vogliamo fare una cosa d’impatto, difficilmente dimenticabile, quello che conta di più per me è essere originale.

Sophia Lippi

Immagine di copertina: © Daniele Pace