Italiani, “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Questo una volta. O, perlomeno, sicuramente prima del 9 marzo 2020, quando su tutta l’Italia si è abbattuto lo spettro silenzioso e sinistro del primo lockdown. “Andrà tutto bene”, diceva qualcuno; ma, dopo più di un anno di bilanci e promesse, per alcuni non è andato tutto bene.
Lo sanno i lavoratori della cultura: cinema, teatri, musei, gallerie a cui non è permesso accedere, come se il virus fosse ivi contenuto e solo lo spiffero di una finestra lasciata erroneamente aperta potesse mettere a repentaglio fatalmente la salute di tutta Italia.
Ma il problema è più grave: chi governa il nostro paese ha paura della cultura.
Quousque tandem abutere, Franceschini, patientia nostra?
Semicitando una celeberrima invettiva ciceroniana, viene da chiedersi per quanto ancora il Ministro della Cultura Dario Franceschini si approfitterà della situazione. In una nota diramata poche ore fa, infatti, si è fatta luce sul piano del deputato del Partito Democratico per far ripartire la cultura.
Grazie tante, era ora. Peccato che da quanto emerso, se l’idea dovesse concretizzarsi, l’Italia potrebbe definitivamente dire addio al suo immenso patrimonio artistico-culturale. Il Ministro proporrà infatti al Comitato tecnico scientifico dei criteri di riapertura al limite della follia e, soprattutto, del rispetto della dignità individuale.
Cinema e musei: non solo biglietto, ma anche mascherina, tampone e vaccino
Nella proposta del Ministro c’è l’aumento degli ingressi nei famigerati e contagiosissimi luoghi di cultura. Ma ogni cosa ha un prezzo, e stavolta si è deciso di mettere definitivamente in gioco il rispetto dei cittadini. Per potersi sedere al cinema o recare in un museo, infatti, oltre alla mascherina FFP2 – diventata un “mai più senza”, quasi come un accessorio di tendenza da abbinare al proprio outfit – serviranno anche un tampone effettuato nelle 48 ore precedenti all’evento e il vaccino.
Non solo è impensabile concepire un piano di ripresa simile, considerando che servirebbero quasi €100 a testa (tra tampone, viaggio e biglietto) per andare a vedere uno spettacolo, ma è anche assurdo considerando che i vaccinati italiani, finora, sono per la maggior parte anziani, una categoria fragile che, se già prima del coronavirus conduceva una vita riservata e priva di occasioni mondane, adesso vive con lo spauracchio di mettere anche solo un piede fuori dall’uscio.
Riprendendo quindi le parole di Cicerone, uno che le basi per la cultura del nostro paese le ha poste oltre due millenni or sono, per quanto ancora sarà permesso alla classe dirigente di giocare sulla pelle dei lavoratori dello spettacolo e della cultura? Per quanto ancora dovremmo venire a sapere di saracinesche abbassate per sempre?
La cultura non può e non deve essere un gioco in cui, in palio, c’è la riapertura di musei, cinema e teatri per quelle regioni che si sono comportate bene. Non è concepibile stilare delle liste che ricordano la distinzione tra “buoni e cattivi”, come alle scuole elementari. La cultura deve continuare a essere di tutti, avere la funzione confortante e catartica che da sempre le si riconosce.
Se, in un periodo così buio, si dovesse spegnere anche quest’ultima tenue, flebile luce, allora l’Italia potrà dire per sempre addio a quell’immenso patrimonio che tutti ci invidiano.
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CHIARA COZZI