Io sono il primo a dire che ha molti difetti. Certamente ha solo due espressioni (con o senza sigaro), di sicuro è un repubblicano senza speranze e non ha problemi a dire ciò che pensa anche in modo brutale. Questo è Clint Eastwood, uno dei pochi registi della vecchia scuola a mantenere un certo modo “classico” di fare cinema e che ha sempre accettato nuove sfide nella sua variegata carriera.
Selezionare pochi titoli per parlare di una filmografia potente come quella di Clinton Eastwood Jr. è davvero arduo. Forse perché stiamo parlando di un regista che ha affrontato quasi tutti i generi cinematografici possibili (il melodramma, il western, il thriller, il film musicale e persino una breve escursione nel “fantasy”), sbagliando raramente un colpo e riuscendo sempre e comunque ad intrattenere gli spettatori con le sue storie immortali e i suoi personaggi in balia degli eventi.
Gli Spietati
Se c’è uno scenario a cui Eastwood è molto legato…beh, è quello del Vecchio West. Dai suoi esordi nella serie “Rawhide” al suo rapporto conflittuale con Sergio Leone e alle escursioni nella frontiera di Don Siegel, Eastwood ha sempre visto qualcosa di affascinante ma anche di selvaggio nelle storie popolate da cowboy senza nome e da una violenza fine a sé stessa. Dopo “Lo straniero senza nome” (omaggio a Leone) e “Il Texano dagli occhi di ghiaccio” e ancora “Il cavaliere pallido” (sorta di rifacimento de “Il cavaliere della valle solitaria”), Eastwood dirige il suo western definitivo.
Quello de “Gli Spietati” è un mondo privo di romanticismo, avventura e ironia. La prateria non è che una landa desolata, i pistoleri di allora sono solo degli uomini stanchi e rassegnati e la legge non è altro che un pretesto per esercitare la violenza liberamente e impunemente. Questa è la storia di William Munny (Eastwood), ex assassino che sente il peso degli anni, e del suo scontro con Little Bill Daggett (Gene Hackman), feroce e sadico sceriffo che crede di sapere tutto sulla vita e la morte. Ma soprattutto questa è l’essenza del cinema di Clint Eastwood, rappresentata da un racconto in cui i personaggi sono esseri umani vittime delle loro debolezze e paure e dove la morte è l’unica certezza.
Un Mondo Perfetto
Un anno dopo “Gli Spietati”, Eastwood dirige un film se possibile ancora più tragico e cinico. Non che il buon vecchio Clint sia un sadico ma non è nemmeno stupido e sa che in questo mondo il Male è costante e possiede mille facce. L’abbiamo capito guardando “Mystic River” e ancor di più guardando il bellissimo “Changeling” ma è forse in “Un Mondo Perfetto” (persino il titolo è tristemente beffardo) che tale consapevolezza pesa sul nostro cuore come un macigno.
La fuga di “Butch” Haynes (un Kevin Costner splendido) e il piccolo “Buzz” (T.J. Lowther) non è solo una caccia all’uomo ma piuttosto un viaggio all’interno della presa di coscienza di un delinquente che malvagio proprio non è e della crescita di un bambino che ha bisogno solo di una guida. Un rapporto tra rapito e sequestratore complicato eppure tenero, osservato attraverso gli occhi del “mediatore” Red Garnett (Eastwood), Texas Ranger nonché alter ego dello stesso regista. Un uomo di legge e che vorrebbe fare tutto il possibile perché le cose finiscano bene per tutti ma che, come ammette amaramente, “non sa nulla”.
I ponti di Madison County
Ebbene sì. Anche Clint Eastwood può essere un romanticone ed eccoci quindi con uno dei suoi film più sorprendenti e commoventi. Apparentemente questo adattamento cinematografico del romanzo di Robert James Waller potrebbe sembrare il classico film sentimentale mieloso e strappalacrime. Invece Eastwood dimostra di possedere un’ insospettabile eleganza nel raccontare quella che è sì la storia di un triangolo amoroso ma soprattutto la lotta di una donna indecisa sul suo futuro.
Sfruttando alcuni brillanti espedienti (i figli della protagonista che ricostruiscono la vicenda), “I ponti di Madison County” è un film che attraverso gli occhi e i turbamenti di Francesca (Meryl Streep) ci trasporta in quello che si può definire (e stavolta per davvero) un racconto “femminista” poiché l’attrazione che unisce la protagonista e il fotografo Robert (Eastwood) è solo il principio. Quello che affronta Francesca non è solo una relazione potenzialmente distruttiva per il suo matrimonio ma anche la molla che potrebbe spingerla verso una vita che ha sempre sognato. Questo è un vero ritratto femminile e non sarà l’ultimo offertoci dal maestro.
Million Dollar Baby
“Million Dollar Baby” è probabilmente uno dei capolavori di Eastwood poiché è il suo film più disperato e allo stesso tempo più intimo. Un film che all’epoca creò persino qualche scalpore a causa di un finale che portava alla luce un argomento tuttora molto delicato, spesso facendo spacciare il film per quello che non è. Di cosa parla “Million Dollar Baby”? Del mondo della Boxe? Sarebbe sbagliato dire che non è così ma c’è molto di più.
Quella di Maggie (Hilary Swank) e Frankie (Eastwood) è qualcosa che va oltre il semplice rapporto tra atleta e allenatore. E qualcosa che si crea solo tra una ragazza che vorrebbe qualcuno capace di guidarla verso la sua strada e di un uomo sul viale del tramonto che trova una “figlia” che considerava perduta. Le relazioni tra genitori e figli (non necessariamente legati dalla genetica) sono una costante nel cinema di Eastwood (i film già citati in precedenza ma anche “Gran Torino” e i più recenti “Il Corriere” e “Richard Jewell”) ma è in “Million Dollar Baby” che diventano il fulcro dell’intera narrazione, spezzandoci il cuore per come si dimostrano fragili eppure forti nonostante tutte le peripezie che i nostri protagonisti affrontano.
Sully
Ultimamente Clint Eastwood sembra essersi interessato a un concetto affascinante e che spesso viene strumentalizzato in America ovvero il significato di essere un “Eroe”. Eastwood non possiede una risposta concreta e anzi spesso ammette che l’eroismo può essere visto anche solo con la propria soggettività. Non sempre però.
Il protagonista di “Sully” non è un nuovo eroe americano ma piuttosto un pilota dalla lunga esperienza che mantiene il suo senso del dovere persino di fronte alle potenziali conseguenze di un gesto estremo. Eastwood racconta questa incredibile storia guardando con ammirazione il personaggio di Sully ma non mettendolo su un piedistallo, evitando la retorica facile e rendendolo solo un uomo che vorrebbe chiudere la faccenda nel migliore dei modi.
Ti è piaciuto il nostro articolo? Seguici su MMI e sul Cinema di Metropolitan.