Clint Eastwood, armato di una Colt Navy, di una .44 Magnum o di una camera da presa, volenti o nolenti, ci ha accompagnato un po’ tutti lungo l’arco della sua lunghissima carriera. Il 31 maggio del 1930 veniva al mondo quello che sarebbe divenuto uno dei duri del cinema, nonché uno dei registi più acclamati e maturi degli ultimi anni. E noi di Metropolitan siamo felici di celebrare il suo compleanno con un piccolo focus sulla sua carriera.
“Quando un uomo con una pistola…”
Nato a San Francisco, prima che potesse entrare nel nostro immaginario collettivo come Joe “il biondo”, cowboy di poche parole vestito con l’inconfondibile poncho, Clint Eastwood faticò non poco a raggiungere la fama per tutti gli anni Cinquanta. Fu chiamato per puro caso in Almeria, da un regista romano di nome Sergio Leone, il quale vide in lui il volto perfetto per interpretare il suddetto cowboy in “Per un pugno di dollari” (1964). Rimase a fianco di Leone anche nei successivi film della cosiddetta “Trilogia del dollaro” (“Per qualche dollaro in più“, 1965, “Il buono, il brutto il cattivo“, 1966). Quello del pistolero di poche parole, dagli occhi di ghiaccio e dall’identità misteriosa, sarà un personaggio che ritornerà a interpretare diverse volte in seguito. Degna di nota, ovviamente, la performance in “Lo straniero senza nome” (1971), suo terzo film da regista e suo primo successo.
“Poiché questa è una .44 Magnum, la pistola più precisa al mondo…”
Dismesse le pistole ottocentesche, Clint Eastwood ritornò nella natia San Francisco per interpretarvi Harry Callaghan, il poliziotto dal grilletto facile più temuto del cinema. “Ispettore Callaghan – Il caso Scorpio è tuo“, di Don Siegel, aprì, nel 1971, la rinomata serie sul personaggio di Dirty Harry Callahan (la “g” nel cognome gliela abbiamo aggiunta noi italiani). I successivi quattro film della saga, dipanati nell’arco di diciassette anni (fino al 1988), videro Eastwood consacrarsi in un altro ruolo che lo avrebbe reso indelebile ai nostri occhi. Parimenti, Siegel – tanto quanto Leone – si rivelarono fondamentali per lo sviluppo della carriera da regista del nostro. Ricordiamo anche la partecipazione al cult “Fuga da Alcatraz” (1979), anch’esso di Siegel.
Clint Eastwood dietro la macchina da presa
Poiché il successo era arrivato già alle porte dei quarant’anni, Clint Eastwood era già considerato un attore “vecchio” all’alba degli anni Novanta. Tuttavia, poiché la sua carriera da regista andava di bene in meglio, egli decise di dedicarvisi appieno dopo il clamoroso successo del western “Gli spietati” (1992). Difatti, sebbene avesse diretto un considerevole numero di pellicole nel decennio precedente, dopo i tiepidi riscontri di “Cacciatore bianco, cuore nero” (1990) e “La recluta” (1990), venuti dopo “Pink Cadillac” di Buddy van Horn, egli decise di non recitare più in nessun altro film di cui non sarebbe stato anche il regista.
Ecco che cominciò una nuova fase della sua carriera, di certo quella più eminente dal punto di vista artistico e creativo. “I ponti di Madison County” (1995), il pluripremiato “Million dollar baby” (2004), “Gran Torino” (2008), “Invictus – L’Invicibile” (2009), “J. Edgar” (2011), “American Sniper” (2014), sono a tutt’oggi considerati capolavori. Film che si discostano dall’immagine del though and cool che egli si era costruito tra gli anni Sessanta e Settanta. Personaggio che, comunque, riprese in una veste un po’ attempata (ci si passi il termine) proprio in “Gran Torino”.
Clint Eastwood con il sigaro e senza
Per concludere questo focus, ci piace ricordare un avvenimento accaduto all’indomani della “Trilogia del dollaro“. Sergio Leone, quando esplose il Sessantotto e il western classico si fece revisionista, propose a Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef, protagonisti de “Il buono, il brutto, il cattivo“, di riprendere i loro personaggi nella prima scena di “C’era una volta il West“. Dopo un assalto al treno, il protagonista Armonica (Charles Bronson) avrebbe dovuto ucciderli alla stazione. Era un modo per simboleggiare la fine di un’epoca.
Eastwood, tuttavia, si rifiutò perché riteneva ingiusta una parte di dieci minuti per un attore della sua caratura. Leone chiosò senza fronzoli con Ha solo due espressioni: con il sigaro e senza“, criticandolo per quell’atto di arroganza e irriconoscenza. Beh, a noi cinefili italiani, piace immaginare che proprio quelle parole del nostro amato regista abbiano funto da propulsore per consegnarci un artista poliedrico. Capace di districarsi da quel ruolo da duro di poche parole, imponendosi come autore a tutti gli effetti. Tanti auguri Clint!
MANUEL DI MAGGIO
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