«Ecco, così si muore»: più che tragica, spietata e combattiva, l’ultima parola di Coco Chanel mentre moriva, all’età di 87 anni, in una camera dell’Hôtel Ritz di Parigi. Anche quando tutto sfiorisce, nell’ultimo atto macabro e silenzioso, lo charm appare naturale per chi come Coco Chanel ha fatto anche della morte, un elegante momento di sacra dignità. Si distese sul letto e pronunciò la sua fatidica ultima frase. Eppure quella morte non decretò mai la fine di un mito senza tempo, che ancora oggi fa eco in concezioni sofisticate di pensiero che supero soltanto la moda. In Coco Chanel, l’anarchia del momento estetico ha poi determinato l’autenticità di una lotta femminista, della rivoluzione del costume sociale che fa del personaggio ancora oggi un simbolo, quello che ieri era un mito, domani pur sempre la Storia.

Se c’è la donna oltre il mito, era Gabrielle Bonheur Chanel, per chiunche altro semplicemente Coco. Come può però il mito spogliare la donna, e viceversa? La spinta che a diciotto anni la spinse ad andarsene dall’orfanotrofio e di vivere la propria vita, fu la stessa – autentica e viva – che la condusse per tutta la vita ad attraversare le crisi del tempo, le rivoluzioni della società. Sempre controcorrente, ma con l’eleganza della consapevolezza, Coco era per prima una donna testarda, ribelle alla moda del tempo. La sua rivoluzione nella moda era prima un sovvertimento a quello che era il costume stesso della società, un abito stretto e ingessato, impolverato e scomodo. Abitare quel tempo, come indossare un corsetto e crinolina, a cui Coco contrappose quel modello morbido e semplice, senza costrizioni e stringhe. Era tutta lì, la metafora: il simbolo di una moda che rispecchiava la società stessa, l’eleganza all’imposizione, la disinvoltura alla restrizione. L’antitesi dei colori opposti, l’introduzione della comodità del jersey e della tracolla: in Coco c’era l’avanguardia di uno stravolgimento di stile che ritrovava nella praticità la stessa eleganza della moda.

Non ricordiamo Coco Chanel per bellezza, o almeno non solo: è l’invenzione di uno stile che ha significato una presa di posizione nella moda per riflettere sul costume proprio del tempo che viveva. Nella moda si condensava l’interpretazione di una generazione, un cambiamento strutturale e necessario di uno sguardo nuovo. Ben oltre la musa, Coco oggi la riconosceremmo come un’audace imprenditrice in tailleur bicolore, per fare della semplicità la più grande firma di stile. D’altronde l’invenzione della tracolla, nel febbraio 1955, non è soltanto un’ottima idea ma un simbolo inconscio e sottile di una libertà sottintesa e urgente. Una borsa che lasci le mani libere, di potersi muovere: di prendere, di fare. In quella femminilità raffinata, nella praticità di un accessorio quasi di design c’è tutto il nuovo approccio degli anni Sessanta, verso quelli che erano i nuovi bisogni e che diventeranno poi i diritti di un’epoca.

Cosa rimane oggi di Coco Chanel? Se prima il nero era il lutto, dopo Coco era l’eleganza. Dopo Coco sono le leggi della moda a cambiare, in un inno attuale e futuristico che vede ancora nell’essenzialità la più grande forma di stile. Nel tentativo di distruggere lo stereotipo della costrizione dell’abito, della rigidità della moda, la stilista ci concede il monito eterno al diritto di espressione, nella sua più naturale libertà. Che gli abiti non ci vadano stretti, mai più.

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