Dopo il polverone mediatico alzato dall’emanazione, appena pochi giorni fa, del Nuovo Codice Antimafia, ricco di strumenti diretti al contrasto della corruzione, occorre fermarsi un attimo per fare un’attenta analisi del suo contenuto e delle criticità che si porta dietro

A pochi giorni dall’avvenuta approvazione del nuovo “Codice Antimafia”, diretto a modificare il decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, grazie al voto positivo di 259 deputati (107 i contrari), tanti sono stati i commenti, sia positivi che negativi provenienti da più fronti.
Occore pertanto vedere pù da vicino cosa prevede il nuovo Codice Antimafia, quali sono le esigenze sottese alla sua approvazione e perchè da alcuni sia stato tacciato di incostituzionalità.

Cominciando con il dire che il testo, tecnicamente rubricato “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate“, agisce sotto vari punti di vista, questo trova però le sue fondamenta sulla modifica delle regole che riguardano la misura di prevenzione della confisca dei beni.

L’esigenza sottesa al nuovo Codice Antimafia viene ravvisata nella considerazione, derivante dalle valutazioni a cui è portata ormai la magistratura, che i tipici reati contro la Pubblica Amministrazione, ossia la corruzione, concussione e induzione indebita sono diventati ormai atti criminali tipici degli ambienti mafiosi, attraverso uno stretto legamente tra imprenditori, mafiosi e istituzioni.

La corruzione, latamente instesa, è ormai è fenomeno sistemico, che mina diversi beni giuridici del nostro ordinamento, basato sulla logica clientelare dello scambio di favori e fa sì che abbia ingenti ripercussioni anche nel settore economico, come sottolineato più volte da molteplici istanze sovranazionali che parlano chiaramente della corruzione (anche in Italia), come un freno alla crescita di un paese.

Per questo, per contrastare il fenomeno corruttivo (ma non solo), sempre più legato all’ambiente dei reati di stampo mafioso, il nuovo Codice Antimafia (che si va ad aggiungere alla Legge 190 del 2012, la c.d. “Legge Severino” e la “Legge Anticorruzone” del 2015, due testi legislativi che sanzionano già i reati di corruzione) ha inteso allargare le maglie di alcuni istituti prima relegati al perseguimento dei reati di mafia aprendole anche ai reati di corruzione, concussione, induzione indebita (ma anche stalking e altri reati).

I risultati della votazione della Camera dei Deputati al Nuovo Codice Antimafia – Immagine dal Web –

Il testo del nuovo Codice Antimafia, che deve ancora essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale prima di poter entrare pienamente in vigore, modifica diversi punti delle leggi antimafia e delle norme che regolano le misure di prevenzione e in particolare prevede:

  • Le misure di prevenzioni personali e patrimoniali (che il nostro ordinamento ammette eccezionalmente solo nei casi di “pericolosità sociale” del soggetto a prescindere dalla commissione del reato) vengono estese anche agli indiziati del reato (quindi non ancora condannati) di assistenza agli associati e di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione, terrorismo, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e stalking;
  • La c.d. “confisca allargata”, tipica misura di prevenzione antimafia, che quindi anticipa un eventuale condanna (per cui “Il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona – indagata per un reato di mafia ndr – nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito) viene estesa nella sua applicazione;
  • I procedimenti che hanno ad oggetto misure di prevenzione patrimoniale (quindi essenzialmente la confisca dei beni, generalmente ritenuta una misura di sicurezza che compone il sistema del “doppio binario” su cui si basa il nostro sistema penalistico, pena-misura di sicurezza, ma in questo caso, misura di prevenzione che serve ad anticipare la tutela ed evitare la commissione del reato), avranno un trattamento prioritario ed accellerato;
  • Viene data delega al Governo di emanare una disciplina che abbia ad oggetto la gestione dei beni confiscati (quelli confiscati alla mafia rappresentano un’enorme ricchezza per il nostro paese, spesso immobilizzata inutilmente), caratterizzata da maggior semplicità e trasparenza e diretta al recupero dei beni confiscati.
  • Il Codice introduce, infine, tra le novità più rilevanti, un procedimento che servirà a sottoporre aziende sospettate di essere a rischio infiltrazione mafiosa ad un controllo diretto ad evitare tale infiltrazione ed agire per tempo in caso siano rilevati indizi di reato.

Come sappiamo, non sono mancate forti critiche all’intervento riformatore del legislatore, dirette soprattutto a denunciare l’ingiusta equiparazione del mafioso con il corrotto, così come è avvenuto indirettamente con il nuovo Codice Antimafia.
Forte è la condanna di Confindustria, il cui presidente Vincenzo Boccia ha affermato: «con il nuovo Codice Antimafia si equipara l’attività degli imprenditori a quella dei delinquenti. È un errore madornale e in questo Paese ogni mattina si deve combattere con una cultura antindustriale e iperideologica che, pensando di far bene, fa in realtà molto male al Paese intero».

Oltre alle accuse di stampo politico-economico, numerosi giuristi hanno messo in risalto il rischio che il nuovo Codice Antimafia possa essere addirittura incostituzionale: «ci sono criticità e più rischi che vantaggi ma, adesso, la norma va applicata – ha sottolineato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione – si rischia l’intervento della Corte Costituzionale, che potrebbe far venire giù tutto l’impianto normativo, un istituto che finora ha funzionato».
Il riferimento è esplicito e riguarda l’estensione della misura di prevenzione della confisca che, in quanto tale, è generalmente ammessa solo in casi straordinari, come nei reati mafiosi, in quanto in contrasto con i principi del nostro ordinamento penale e prima ancora con i pincipi costituzionali, poichè potranno essere confiscati i beni di chi è anche soltanto sospettato di fare parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari, concussione e induzione indebita.

Tuttavia Cantone ci tiene a precisare che la legge porta con sè anche novità positive: «Questa legge contiene norme molto utili sull’uso dei beni confiscati ed è un peccato che ci siano tante polemiche. Avevo affermato in precedenza che non aveva molto senso applicare le norme del codice antimafia alla corruzione, perché non sono né utili né opportune, né aggiungono qualcosa se non elementi critici nel sistema. Ma – conclude Cantone – una volta che una legge è stata approvata da parte di una istituzione è corretto applicarla».

Le critiche fino ad ora sollevate sono state poi oggetto di un chiaro e secco rinvio al mittente da parte Rosy Bindi, che ha lavorato direttamente in prima persona alla stesura del testo: «Prima di giudicare una riforma  va letta bene. Lo dico a Confindustria, che ha un fior fiore di ufficio legislativo. Questa riforma è più garantista nei confronti di chi subisce il sequestro dei beni».

Sarà poi il tempo a dire la sua: vedremo se le novità introdotte con il nuovo Codice Antimafia saranno veramente efficaci nella lotta contro il crimine mafioso e la corruzione o se, ancora una volta,  riveleranno l’ennesimo intervento confuso, irrazionale e dispendioso del legislatore italiano.

Lorenzo Maria Lucarelli