La Roma che si affaccia dopo l’Occupazione, alla fine della guerra, era povera. E si cucinava con quel poco che si riusciva a reperire: uova e carni conservate, come guanciale o pancetta. La carbonara era un piatto rimediato, d’emergenza. Ma diventa una serata di gala per lo stomaco!
L’industria cinematografica capitolina, ebbe un gran da fare nel dopoguerra, a far conoscere a registi e attori stranieri la prelibatezza della cucina romana: e quel piatto invitante, capace di incarnare la pasta, tipica italiana, e il gusto anglosassone per le uova e bacon. La prima citazione sullo schermo della carbonara è del 1951, quando Aldo Fabrizi nel film “Cameriera bella presenza cercasi” era Giovanni Marchetti, e interroga la cameriera Maria (Elsa Merlini): “Scusi un momento, Senta un po’, ma lei sa fare gli spaghetti alla carbonara?” La cameriera scuote la testa. “E come li sa fare?” -“Beh al ragù, al pomodoro, burro e formaggio”- “Ah beh, questa è roba da clinica…”. Così, mentre la sorella, amica, rivale di companatico amatriciana, era già famosa da una decina di anni, ancora il nome ‘carbonara’ suonava sconosciuto.
Stanlio e Ollio, e peperoncino..
Per ricordare Oliver Hardy, del celebre duo Stanlio e Ollio, su una pagina di Stampa Sera del 1957, si legge: “nel 1950, a Roma, durante un viaggio pubblicitario, in un solo pranzo mangiò cinque piatti di spaghetti alla carbonara, un intero pollo, bevve mezzo fiasco di Frascati, e poi divorò quaranta paste”. Gregory Peck, che con “Vacanze Romane” promuoverà la città eterna oltreoceano, nell’estate del 1952 abitò per un breve periodo in una villa della campagna romana, proprio durante la lavorazione del film a Cinecittà. E la cuoca Adelaide, pur originaria di Grottammare, come è scritto sull’articolo del Corriere della Sera, serviva a lui e ai suoi ospiti “degli spaghetti alla carbonara, della pizza e dei pomodori ripieni di riso”. Altro che quel piccolo gelato sulla lambretta con Audrey Hepburn.
Ma sul set di “Pane, amore e ..“, il film del 1955 di Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, tra un maresciallo e una bersagliera si pensava, evidentemente, a mangiare: “Fu l’attrice Marisa Merlini, l’ostetrica di Pane e amore, che preparò gli spaghetti, anzi i bucatini alla carbonara, con giambone (gamba di prosciutto) pepe uova e formaggio, cotti in un rudimentale fornello alimentato dalle pigne raccolte nella pineta. Una bella serata, durante la quale tutti ci volemmo bene; gli spaghetti affratellano”. Dalle preziose righe di un ‘consumato’ quotidiano. Non può esser sfuggito che l’attrice ha ‘osato’ variare la ricetta con un suo personale ingrediente: il prosciutto. Forse una necessità. Che sia divenuta virtù, lo confermano gli ospiti a una cena organizzata nella casa romana dell’attrice. Presente anche Domenico Modugno, durante la lavorazione del film “Io, mammeta e tu”: “Seduti a tavola celebriamo gli spaghetti “alla carbonara” di cui Marisa va fiera: ha bilanciato torli d’uovo, prosciutto di San Daniele, pepe e parmigiano, la cui miscela va tenuta pronta in un tegame, appena la pasta sia giunta a punto di cottura, e venga così impregnata di quel succo”.
La carbonara americana
Divertente l’episodio raccontato da Ugo Tognazzi. A New York, in una suite al quarantottesimo piano dell’Hilton, trecentocinquanta persone attendevano la presentazione del suo film “Marcia nuziale“; e probabilmente, il fatidico banchetto a seguire. Il produttore italiano ebbe l’idea di una pastasciutta per tutti cucinata da Tognazzi. L’istrionico Ugo non si perse d’animo, cronometrò in 56 secondi netti, il tempo che distanziava le cucine al piano terra fino alla suite. Per i suoi ‘follemente americani’, preparò la carbonara, con l’aggiunta della panna, “perché gli americani la ficcano ovunque“. E, udite, in ultimo un po’ d’alcol. Quattro chili di bacon, trecentocinquanta uova, di cui cento col solo tuorlo. Il tutto mescolato su trenta chili di spaghetti su cui far nevicare cinque chili di parmigiano grattugiato. E due chili di panna e dieci bicchieri di cognac. Ugo non bada a spese. Quella sera dall’Hilton: “Fantastic!”, “Fabulous!”, “Wonderful!”, e un centinaio di baci unti al bacon.
Per Carlo Verdone ‘la mejo‘ carbonara è alla trattoria Lilli, in via Tor di Nona. Invece, dal Cavalier Gino al Parlamento, ti guida una piccola insegna sospesa in alto, a due passi da Montecitorio, (se chiedi di vicolo Rosini nessuno ti risponde, ma basta nominare Gino..). Lì ci sono gli spaghetti alla carbonara ricercati da politici e viandanti, con guanciale, uova e pecorino. E, arrivando a piedi da Ponte Milvio, c’è Natalino e Maurizio dove la ricetta della carbonara risale alla notte dei tempi: guanciale in padella soffritto al punto giusto, da mettere sulla pasta appena scolata con un uovo rigorosamente intero (non ci provate a separare o dividere tuorli “perché c’è chi dice giallo chi rosso” dice il Re Maurizio), un po’ di pepe e va asciugata sul gas girando il mestolo; ne troppo secca ne troppo lenta. Il pecorino a volontà sul piatto rinnovando il pepe. E come non ricordare nel film di Scola “C’eravamo tanto amati“, l’intellettuale Nicola Palumbo proferire a bocca piena: “Spaghetto, gran consolatore d’ogni pena“. Lo sa bene Verdone, che la sera in cui la fidanzata londinese lo ha lasciato, era in trattoria con gli amici a rifarsi con una carbonara.
Federica De Candia per Metropolitan magazine