Il pm Henry John Woodcock e la giornalista Federica Sciarelli sono entrambi indagati dalla Procura di Roma per concorso in rivelazione del segreto d’ufficio, avrebbero fornito informazioni riservate sull’indagine Consip a “Il Fatto Quotidiano”.
Si allarga la maxi indagine della Procura di Roma sugli appalti Consip, rivelando retroscena inaspettati e verità sempre più confuse.
Dopo che le indagini furono tolte alla Procura di Napoli per fuga di notizie, queste sono state affidate ai pm romani, anche qua, però, non è andato tutto liscio. Il Capitano del Noe Gian Paolo Scafarto è infatti stato accusato di falso e per questo è stato aperto un fascicolo.
Anche a Roma sono state divulgate informazioni che sarebbero dovute rimanere segrete tanto che “Il Fatto Quotidiano” di Marco Travaglio pubblicò a maggio le intercettazioni della chiamata telefonica tra Matteo Renzi e il padre Tiziano il giorno prima del suo interrogatorio (chi glie le ha fornite?).
Ma non finisce qui, perchè è notizia di ieri l’apertura di un ulteriore fascicolo a carico del pm Henry John Woodcock, titolare dell’indagine Consip quando era ancora dominio della Procura di Napoli. Woodcokc è indagato dai colleghi romani a titolo di rivelazione del segreto d’ufficio: egli avrebbe fornito informazioni assolutamente secretate alla giornalista e conduttrice Federica Sciarelli che a sua volta le avrebbe girate al giornalista de “Il Fatto Quotidiano” Marco Lillo, autore dell’articolo incriminato uscito qualche mese fa e riportante alcuni documenti coperti dal segreto.
Insieme a Woodcock è indagata anche la conduttrice di “Chi l’ha visto”, Federica Sciarelli, a titolo di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio: la Sciarelli, secondo i pm romani, avrebbe fatto da tramite tra la Procura di Napoli (sembra che sia da tempo la compagna di Woodcock) e il giornare del suo amico Marco Travaglio.
Come tutti dovrebbero sapere, le notizie attinenti un’indagine penale sono coperte da segreto d’ufficio e per questo non possono essere divulgate, sia a tutela delle parti ma soprattutto per garantire un più efficace svolgimento dell’attività degli inquirenti. “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari” recita l’art.329 del Codice di Procedura Penale, prevedendo che siano secretati anche altri atti successivi allo svolgimento delle indagini, su richiesta del pm, potendo invece essere pubblicate informazioni “quando è necessario per la prosecuzione delle indagini” (essenzialmente ai fini strategici) ma solo previa autorizzazione del pubblico ministero.
Tale previsione è ormai quasi lettera morta: troppo spesso, infatti, come testimoniano gli ultimi accadimenti citati (che le indagini chiariranno, si spera smentendo le ipotesi iniziali degli inquirenti), assistiamo ad una fuga di notizie che dovrebbero essere segrete e che invece giornali, radio e televisioni pubblicano senza alcun problema. Come fanno? Semplice, spesso i giornalisti riescono ad estorcere informazioni, volontariamente o meno, ai chiamati in causa, addirittura ai pubblici ministeri attirati dalla fama e dalla notorietà che i media consentono. In altri casi, si registrano dei veri e propri collegamenti tra le redazioni e gli uffici delle procure che, con vantaggi reciproci, comunicano informazioni altrimenti secretate. Altre volte ancora, come è capitato, alcuni atti sono stati addirittura sottratti e utilizzati per essere divulgati.
Spesso, sono gli stessi pubblici ministeri, di propria iniziativa, che decidono di comunicare, come in loro potere, informazioni, procurando però più danni che vantaggi: testimonianza di ciò è la fuga di “Igor il Russo”, il latitante più ricercato di Italia ancora a piede libero. Sulle indagini che lo riguardano pm e media hanno diffuso moltissime notizie, rendendo noto anche gli spostamenti della polizia che si trovava sulle sue tracce, giorno per giorno e con grande precisione: non sarà che Igor Vaclavic abbia usato queste informazioni a proprio vantaggio?
I casi da prendere ad esempio sarebbero moltissimi e proprio perchè così tanti la situazione è sempre più preoccupante.
Conoscere la verità è interesse di tutti. Giornalisti e magistrati fanno proprio questo anche se con obiettivi, mezzi e misure diverse.
I giudici ricercano una verità “processuale” che sia idonea alla legge e strumentale a decidere il fatto, condannando o meno, seguendo le regole del processo. Non sempre i dati risultanti corrispondono a quella che è definità verità “reale”, per raggiungere la quale, spesso, ci sarebbe bisogno dell’assenza di limiti posti invece dalla legge anche a tutela della dignità delle parti.
Verità processuale e verità reale non sempre corrispondono, considerate la struttura e i fini differenti: è questo il limite sottile, alle volte impercettibile, che segna il divario tra giudicante e giornalista, tra processo e informazione, tra sentenza e verità.
I due concetti, è bene chiarirlo, non sono però in contrasto tra loro ma, semplicemente, riguardano ambiti differenti, entrambi bisognosi di reciproca considerazione e rispetto.
Dovere del giornalista è quello di divulgare informazioni, in maniera critica quando la situazione lo richiede, senza invadere gli spazi di altrui competenza, eccetto sitazioni eccezionali. Dall’altra parte, invece, sarebbe più saggio per i pm mantenere il più stretto riserbo sul proprio lavoro e sulle notizie di cui sono possesso, dovendo, loro malgrado, rinunciare alla figura pubblica di eroi, consci che magari, seguendo ciò che la legge prescrive, qualche indagine fatta meglio e con esiti positivi potrebbe pure venire fuori.
Vivere in un mondo ormai interamente basato sulla condivisione istantanea di notizie, anche quando non lo vogliamo, non deve essolutamente comportare che tale tendenza invada campi sensibili, come quello delle indagini penali, rivelandosi un fattore negativo e controproducente sia per l’informazione che per la giustizia che, per essere tale, non deve poter risentire di influenze e considerazioni esterne.
Lorenzo Maria Lucarelli