In molti modi vengono giustificate le mutilazioni dei genitali femminili: religione, cultura, tradizione. Argomentazioni, queste, che perdono la loro presunta validità davanti alla violenza commessa.
“Avete mai assistito a una mutilazione?“, domandò l’avvocata Françoise Kaudjhis ai deputati. Solo dopo aver visto un video quegli uomini hanno potuto capire la violenza compiuta. Hanno coperto gli occhi dietro i documenti e hanno approvato la legge contro i matrimoni precoci e forzati, l’esportazione delle bambine, gli stupri e le mutilazioni genitali femminili.
(Dal racconto di Françoise Kaudjhis sull’iter di approvazione della legge in Costa d’Avorio il 23 dicembre 1998).
Mutilazioni genitali: numeri-vite
Nel mondo 200 milioni di donne hanno subito la mutilazione genitale, 44 milioni erano bambine di età inferiore a 14 anni. Numeri enormi che corrispondono a persone, donne e bambine.
In Europa i numeri sono inferiori, circa 2 milioni secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), ma ancora troppi. In Italia non siamo immuni a questa pratica: l’università di Milano Bicocca ha calcolato che in Italia le donne a rischio sarebbero circa 85-90mila e 5mila di questi sarebbero minorenni.
Per questi numeri, per queste donne, il 6 febbraio è stata istituita la Giornata internazionale della tolleranza zero per le Mutilazioni Genitali Femminili (FGM).
Mutilazioni genitali: cosa sono?
Secondo l’OMS la mutilazione genitale femminile non ha giustificazioni mediche e soprattutto non ha nessun beneficio per la salute, anzi tutto il contrario. Non è un’operazione che può essere compiuta “in sicurezza”. Il più delle volte, come dai racconti delle vittime si evince, viene praticata con coltelli vecchi, non sterilizzati e in condizioni di igiene inesistente.
Cosa comporta? La rimozione totale o parziale dei genitali esterni, come clitoride e labbra. Molto diffusa è l’infibulazione, ovvero la chiusura della vulva tranne nel tratto di fuoriuscita dell’urina. Nel lungo periodo provocano:
- dolore intenso e sanguinamento eccessivo
- difficoltà a urinare
- cisti, infezioni e infertilità
- problemi psicologici
- diminuzione del piacere sessuale
- complicazioni durante il parto
- maggior rischio di decessi neonatali
Mutilazioni genitali: perché?
La pratica, da motivi religiosi, ha lasciato spazio a motivi prettamente discriminatori e di sottomissione della donna. A livello culturale viene intesa la mutilazione genitale come il momento dell’ingresso della ragazza nella fase adulta, come requisito per entrare nella società e, in alcune di queste, permette il matrimonio. La pratica serve quindi a identificare il valore di una donna sul mercato, nonché a controllarne la verginità e fedeltà al marito.
Il condizionamento famigliare spinge le ragazze a chiedere di essere sottoposta alla mutilazione per poter essere accettata e poter riacquistare il controllo di sé. Infatti il clitoride viene considerato organo maschile e la sua rimozione aiuterebbe la fertilità, la gravidanza e la sopravvivenza del feto.
Il problema non è tanto la religione, ma le sue retoriche maschili. “Questo intervento, a seconda di come viene effettuato, può accentuare il valore della donna nel mercato matrimoniale”, spiega la professoressa Paola Degani.
“Questo prezzo varia in relazione a vari fattori, tra cui il tipo di mutilazione e a quanto, in quel contesto, essa sia considerata un valore non solo dal punto di vista della verginità e della purezza, ma anche un fattore di abbellimento estetico del corpo della donna e di potenziale maggior capacità riproduttiva“. La professoressa Degani spiega come la violenza non si esaurisce in una sola volta, ma viene ripetuta nel tempo sul corpo, aumentando i rischi per la salute fisica e psicologica. Una vera e propria regolamentazione e negoziazione del corpo riproduttivo che mira a impedire l’autodeterminazione delle donne e la libertà sul proprio corpo, sulla propria sessualità e salute.
Tra tradizione e sensibilizzazione
“È stata la tradizione patriarcale che ha voluto l’esistenza della mutilazione, per far sì che la donna sia sempre sottomessa all’uomo“, racconta Françoise Kaudjhis.
Per questo leggi e sensibilizzazione non possono essere obiettivi separati. La legge punisce carnefici e complici (in caso di morte la pena va da 5 a 20 anni di prigione in Costa d’Avorio). Nelle piccole comunità viene ancora praticata per mancanza di informazioni in lingua locale e, usando le parole della giovane attivista Salimata Traoré: “La libertà nasce dalla consapevolezza” – e aggiunge – “Altrimenti le donne resteranno vittime inconsapevoli di una barbarie non necessaria e gli uomini, d’altra parte, continueranno a ignorare la nostra battaglia, invece di sostenerla“.
Sono “una vigliaccheria e un degrado per gli uomini e per tutta l’umanità” dice Papa Francesco in merito alle violenze contro le donne. “Da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità“.
Le mutilazioni incidono sull’integrazione
Tanto in Italia, quanto nel resto d’Europa, le mutilazioni genitali incidono sullo sviluppo della propria identità e quindi sui processi di integrazione.
Per questo motivo, oltre quelli citati in precedenza (parità di genere, salute fisica e mentale) l’Europa ha inserito nel documento sull’Uguaglianza di Genere e l’empowerment di donne, ragazze e bambine (2020-2024) l’obiettivo di eliminare ogni pratica abusiva contro le donne, nel quale rientrano matrimoni combinati, spose bambine, mutilazioni genitali femminili. Nel documento si legge, inoltre, la volontà di sconfiggere queste realtà aberranti anche con sostentamenti economici alle nazioni. Insomma, bisogna convincere gli uomini con i soldi.
L’Italia ha accolto comunità proveniente da territori dell’Africa dove la violenza della mutilazione genitale femminile è ancora in uso, motivo per cui si è disposto un articolo ad hoc, il 583 bis, che recita: “Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche […] sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro“.
Mutilazioni genitali e Covid-19
Sembra ormai una moda parlare di tematiche e fenomeni sociali in tempo di pandemia, ma i dati in merito sono talmente preoccupanti da non poterne fare a meno. Durante la pandemia infatti, tutte le conquiste per parità di genere sono risultate fragili. A partire dalla difficoltà di accedere ai servizi sanitari e di supporto in caso di violenze, palesando un aumento di disuguaglianza economica e sociale.
Amref Health Africa e Amref International University hanno studiato gli effetti della pandemia Covid-19 sulle mutilazioni genitali femminili e sui matrimoni precoci e forzati in Kenya. L’aumento di questi fenomeni è dovuto alla chiusura delle scuole (50%) e alla riduzione di soccorsi (18%).
Progetti contro le mutilazioni genitali femminili
Nasce da queste considerazioni, numeri e fatti i molti progetti contro le mutilazioni genitali femminili. Attraverso un percorso di consapevolezza dei propri diritti, di rivalutazione delle condizioni di vita e sostegno alle vittime.
ActionAid lancia il progetto CHAIN per rafforzare la prevenzione. Mentre Amref ha collaborato con le comunità per introdurre riti di passaggio alternativi, che hanno salvato 20.000 bambine dalla mutilazione dei genitali. Il progetto di Amref è di mettere fine alle mutilazioni entro il 2030. Il motto è: “Tolleranza zero”.
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.