La Conversazione“, quando si parla di Francis Ford Coppola, è spesso citato come il film “più riuscito” del regista. Lo stesso autore lo ha anteposto alla trilogia de “Il Padrino” nella sua personale classifica, ritenendolo il migliore – o, quantomeno – quello dove egli riesce a esprimere ciascuno dei suoi interessi autoriali. La critica lo ha spesso classificato come troppo legato ai fatti dello scandalo del Watergate, di cui ne rappresenta appieno lo zeitgeist; tuttavia, in un’epoca come la nostra, con una diffusione così rapida delle informazioni, condita dal continuo timore che qualcuno ci stia spiando, la sua forza evocativa appare più attuale che mai, e, in queste righe, cercheremo di spiegare perché.

La Conversazione
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La conversazione della Union Square

Harry Caul (Gene Hackman), il protagonista dell’opera, è un investigatore privato incaricato di registrare una conversazione tra due amanti alla Union Square di San Francisco. Malgrado Harry, inizialmente, paia disinteressato dai nastri che ha registrato, li riascolta più volte sino a entrare in paranoia a causa di una frase che da principio non era riuscito a isolare poiché coperta dal baccano: “Ci ammazza se gliene diamo l’occasione“. Temendo il peggio, Harry evita di consegnare i nastri al committente – chiamato “il direttore” -, tuttavia, essi gli vengono trafugati ed Harry è costretto ad assistere inerme a una tragedia che è all’opposto di come aveva immaginato. Nondimeno, nel finale, intercettato nel suo appartamento, Harry inizia a distruggerlo per trovare la cimice, ma senza avere fortuna. Rimasto seduto tra le macerie, riprende a suonare il sassofono, strumento con cui si esercitava nel tempo libero.

“La Conversazione”, allora come ora

Sono passati più di quarantacinque anni da “La Conversazione”, e vogliamo rivolgervi una domanda: siamo davvero sicuri che l’opera sia solo contestualizzabile all’epoca degli scandali del Watergate? Per chi non ne fosse a conoscenza, la suddetta vicenda ebbe luogo tra il 1972 e il 1974, coinvolgendo, inizialmente, quelli che sembravano modesti politici locali, sino a raggiungere i vertici del Paese, in particolare Richard Nixon, dimissionario proprio nel ’74. Il tutto, ça va sans dire, nacque proprio a causa di intercettazioni telefoniche, cui fecero seguito indagini, prove fotografiche e quant’altro. L’intera scalata della piramide, a dirla tutta, suona ancora oggi familiare. E’ accaduto diverse volte in Italia e non solo. Si parte da quello che potrebbe benissimo essere classificabile come piccolo reato locale, e si risale sino ai vertici dello Stato.

La Conversazione
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Non solo Watergate

Ecco, poiché tale scena ci appare tanto familiare, non dovremmo neppure porci il dubbio se “La Conversazione” sia o meno un film attuale. In tanti, però, potrebbero indicare, tanto il film quanto gli scandali simili al Watergate, a un contesto lontano dalla nostra vita quotidiana. E allora perché non prendere a esempio il caso “Cambridge Analytica” del 2018? Il riutilizzo dei dati acquisiti in rete allo scopo di condizionare gli utenti. Uno scandalo di proporzioni gigantesche che ha portato alla bancarotta la società a dispetto dell’enorme fatturato. Da allora è stato chiaro a tutti in che termini si muovessero le indagini di mercato sul web. Ciascuna di esse finalizzata a portare alla luce ognuno dei singoli utenti, “spiandone” i gusti, gli interessi e le paure.

“La Conversazione” come apripista

Allora perché “La Conversazione” non diventa più un film che ripropone lo zeitgeist paranoico dell’America di metà anni Settanta, bensì un apripista per tutto ciò che arriverà in futuro? Il racconto di Coppola, a differenza di quanto si sia portati a pensare, non si scaglia soltanto contro le forme di potere, bensì ne analizza le varie sfaccettature nei diversi strati della società. Esso scava a fondo nei differenti ceti, mostrando come chiunque abbia qualcosa da nascondere, e come sia diventato ormai facile venire a conoscenza di quel qualcosa.

Uno sguardo sulla società

La critica di Coppola non è rivolta a coloro che spiano, bensì all’usanza stessa del nascondere. Attenzione, la sua non è una predica moralista, bensì un’analisi approfondita delle contraddizioni della società, la cui stratificazione e sistematicità non porteranno mai ad altro. In una società sempre più classista, regolata da ceti, da potere e danaro, la necessità che avrà la gente di nascondere le proprie perversioni, le proprie paranoie o idiosincrasie alla morale comune del pensare “perbene”, porterà sempre più a uno sfacelo collettivo dei valori – la distruzione della casa ne è un esempio -.

La Conversazione
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Seduti per terra a suonare il sassofono

E come affronteremo tutto ciò? Coppola ci dà la risposta perfetta, forse la più vera di tutte: ci siederemo nelle macerie di ciò che è ormai diventato questo sistema, e continueremo a fare quello che facevamo prima. Harry Caul, intimorito dal sangue che sgorga dalle pareti – in una delle scene più artisticamente agghiaccianti di sempre -, è convinto di essere il prossimo. Cerca invano quella maledetta cimice. Che cosa può fare allora? Attendere che quel momento arrivi, sperare, magari, che non arrivi e continuare a suonare il sassofono. Ecco la risposta di Coppola: il menefreghismo. O, per dirla più in salsa anni Settanta: il qualunquismo.

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“La Conversazione” come sinonimo di qualunquismo

Perché, in fin dei conti, credere che il caso Watergate, il caso Telecom-Sismi, o il caso Cambridge Analytica, siano ormai passati, è tipico della gente comune. E’ tipico di chi procede imperterrito nelle sue giornate senza pensare che ciò che ha comprato tramite un’App che consegna cibo, sia stato tracciato da svariate società che si occupano di indagare.

“La Conversazione”, forse non rientrerà nella lista collettiva dei più grandi successi del regista – non quanto “Il Padrino” o “Apocalypse Now” -, ma per la sua forza narrativa e filosofica, e per la sua perfezione stilistica, è senza dubbio il film più riuscito di Francis Ford Coppola. Quello che più di tutti rappresenta la sua concezione del mondo.

MANUEL DI MAGGIO

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