E’ ormai tristemente nota la drammatica strage che sta avvenendo in silenzio nelle RSA, anche dette case di riposo, dove migliaia di ospiti e membri del personale hanno contratto la COVID-19, spesso con esito funesto. E se ci fosse stata la possibilità di evitare tutto questo?
La relazione del 2010
Dopo le gravi epidemie di SARS, influenza aviaria e H1N1 dei primi anni 2000, il governo regionale della Lombardia ha ricevuto una relazione tanto accurata quanto preoccupante da parte dei suoi dirigenti tecnici sulla risposta del sistema sanitario locale durante l’influenza suina. Tra i diversi punti critici toccati dai relatori, vi era proprio la scarsa attenzione che era stata rivolta a rafforzare la protezione delle RSA, le case di cura per malati non autosufficienti e anziani. Tuttavia, dopo essere stata approvata dalla giunta il 22 dicembre 2010, la relazione finì nel dimenticatoio e con lei tutti i buoni propositi e i suggerimenti dei tecnici.
L’elemento più fragile
Eppure sono moltissimi gli esperti che hanno sottolineato come, durante un’epidemia, le RSA siano il punto più debole di qualsiasi sistema sanitario: oltre all’affollamento in spazi ristretti di decine e talvolta centinaia di degenti affetti da patologie pregresse e/o con salute precaria, non bisogna sottovalutare il continuo entrare e uscire di parenti, amici e personale sanitario. E’ sufficiente che uno solo di loro funga da vettore di ingresso per l’agente infettivo, perché questi si diffonda facilmente, colpendo soprattutto i soggetti più delicati e cagionevoli. Come è possibile, infatti, mantenere le distanze di sicurezza in un luogo in cui i pazienti hanno spesso necessità di essere imboccati e lavati?
La Regione: nemica o amica?
Le responsabilità della Regione, però, non si fermano all’aver ignorato la relazione del 2010. In piena crisi, il governo regionale non ha potuto fornire dispositivi di protezione ai medici e agli infermieri delle case di cura, come accaduto anche per il personale delle altre articolazioni mediche territoriali. Non solo: quando la situazione negli ospedali peggiorò, la Regione Lombardia decise di impiegare le RSA come ricovero per pazienti COVID-19 non gravi. Tale scelta, secondo i rappresentanti delle associazioni delle case di riposo, equivaleva a “mettere un fiammifero in un pagliaio“. Eppure furono una dozzina le RSA che accettarono pazienti positivi al virus.
Un triste bilancio
Nelle case di cura della provincia di Bergamo, dal 1° gennaio alla fine di aprile sono morti 2.998 ospiti su 6.100 totali, 1.322 in più rispetto allo stesso periodo nel 2019. Simili numeri, sfortunatamente, sono stati rilevati anche in molte altre RSA lombarde. Secondo un rapporto dell’ISS, nei mesi di febbraio e marzo in 266 strutture di ricovero per anziani della Lombardia sono morte 1.625 persone o per COVID-19 o per sintomi influenzali a essa riconducibili. E il dato non è ancora definitivo: non soltanto la rilevazione coinvolgeva una parte minoritaria delle 700 RSA regionali, ma dà conferma del fatto che centinaia di vittime hanno perso la vita senza che fossero sottoposte a tampone, non rientrando così nelle statistiche ufficiali.
Un pensiero si rivolge spontaneamente ai familiari dei degenti, riunitisi in gruppi su internet per raccontare la propria storia e cercare di capire cosa sia accaduto ai loro cari.
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