A costo di annoiare, che si parli ancora di temi LGBT+ non soltanto nel mese di giugno perché ogni logo si è fatto arcobaleno. O perchè le piazze si sono riempite, c’è più euforia anche a postare una foto. Piuttosto se ne parli ancora, perché quel che gli stolti confondono con esercizio di ripetizione e fanatismo, la civiltà lo riconosce come normalizzazione. Quello che è “argomento di discussione” dovrà pur diventare, prima o poi, regolarità. E se per entrare nel costume e nella cultura di un popolo, la sensibilizzazione deve passare per l’informazione: parliamone anche oggi, parliamone di più. Ma parliamone con tutti: che la scuola diventi educazione, non solo formazione, su un senso civile che è, prima di ogni cosa, coscienza di sé e dell’altro. Nel processo di accettazione, per condividere, bisogna concepire il proprio corpo – e quindi la propria azione – un fatto politico. Ce lo ha suggerito Imma Battaglia, la paladina delle battaglie per i diritti delle persone Lgbt+, in questa intervista. Già consigliera comunale di Sel nella sindacatura romana di Ignazio Marino, Imma Battaglia si candida alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Roma, appoggiata dalla lista civica Liberare Roma. Artefice del World Pride del 2000, Imma – dichiaratamente lesbica – è anche presidente dello storico Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli di Roma. In prima linea per le battaglie politiche e civili, l’attivista si proietta in uno scenario civile e politico complesso che, prima di promesse ha bisogno di verità, e quindi di libertà. Together: Resisting, Supporting, Healing! Una visione equa, inclusiva e sostenibile, in cui la protezione diventa in prima battuta esercizio dei diritti umani e rispetto della diversità. L’atto politico è parte di un processo di critica contro un potere che non guarda alle esigenze e alle istanze dei cittadini. Questo per Imma Battaglia, in uno scontato gioco di parole, è combattere. Una battaglia che è costante ma soprattutto concreta lotta: un’azione che non ha mai paura della sfida. Con un programma audace, Imma Battaglia lavora anche per una “Città aperta e solidale – Questione sociale, generazionale e di genere oltre la pandemia. L’impresa di innovare il sistema sociale con il paradigma della cura, valorizzare cooperazione, concentrarsi sulla realizzazione di politiche di genere e per i diritti lgbtqi+. In una civiltà che cambia, quello che conta non è tanto la posizione di un movimento quanto il valore di quello per cui ci si batte. Oggi anche il femminismo è già diventato altro, ma la coscienza dell’identità resta un principio di verità che non conosce regressione.

Imma Battaglia - Photo Credits © Cosimo Sinforini
Imma Battaglia – Photo Credits © Cosimo Sinforini

L’intervista a Imma Battaglia

L’inclusione ultimamente passa dai social e soprattutto dai giovani, visto che moltissim* ragazz* stanno facendo i conti con la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale sui propri spazi personali, educandosi, facendo coming out e trovando supporto nei coetanei. Quanto, tuttavia, è problematico il fatto che altre grandi piattaforme, come la televisione e soprattutto la scuola, non affrontino ancora di petto l’argomento? Può comunque esserci il preludio per un cambiamento civile? Ogni volta che c’è un coming out c’è un atto politico che si consuma di fronte agli occhi della società. Il corpo stesso è politica. Il fatto che le nuove generazioni stiano sempre più prendendo coscienza della propria identità di genere o del proprio orientamento sessuale, in modo sempre più naturale come può essere veicolare una foto sui social, non fa che condurre questo nostro Paese in quel processo evolutivo che ci porterà tutti ad una maggiore libertà. Tuttavia, i media più importanti, così come molti personaggi del jet set, continuano a veicolare messaggi intermittenti, scegliendo di non rivelarsi oppure di non parlare con dovuta profondità di temi così importanti. Quando anche questi “mondi sommersi” affioreranno in superficie, vorrà dire che saremo pronti per vivere quel cambiamento civile di cui tutti abbiamo bisogno.

In merito ai diritti civili si sente spesso dire che “l’Italia non è pronta”, nonostante la storia del nostro paese smentisca questa affermazione (pensiamo per esempio ai cosiddetti “femminielli” napoletani, che ebbero un ruolo importantissimo nella seconda guerra mondiale). Pensi che l’omotransfobia sia davvero un problema storico-culturale? Nel nostro Paese lo è più che mai. L’Italia è cresciuta con il mito del macho italiano – siamo noti nel mondo per la nostra virilità -, ma le cose stanno cambiando. Anche il nostro Paese sta guardando verso nuovi modelli. Penso a Fedez che non è propriamente l’emblema del machismo ma che con i suoi gesti, è molto più uomo di chiunque altro.

Siamo nel pieno del fermento di discussione per la legge Zan, da poco passata la giornata internazionale contro l’omotransfobia. In queste circostanze, in un’intervista hai dichiarato di aver sposato Eva sicuramente per amore, ma anche come un gesto politico. Credi che questi piccoli passi personali siano davvero l’anticamera per sdoganare i preconcetti sociali? Lo credo fermamente. Ho sposato Eva per profondo amore ma anche per lanciare un messaggio forte come quello di una unione tra due donne riconosciute e mature. Siamo state le prime ma speriamo di non essere le ultime.

Tu sei davvero al fianco dei gay da quando “non era moda”: parliamo della degenerazione dell’attivismo nell’era del vizio di forma. Si dice che il femminismo 3.0 sia come un trend. Come ti contrapponi a queste visioni? Io sono una femminista convinta ma le mie vedute sono sempre molto ampie e guardano al futuro ed alla comprensione di una società che cambia e muta nel tempo. Il concetto del femminismo più radicale, oggi si è evoluto ed è diventato altro. Passa anche per momenti di regressione in cui le donne ritornano ad essere sottomesse a uomini violenti che decidono per loro, ma un provvedimento come il DDL Zan può intervenire anche in casi come questi. 

Le immagini sono a cura di © Cosimo Sinforini