Un’analisi dello sgombero dei rifugiati eritrei ed etiopi di ieri a Roma, tra violenze, povertà e mancanze delle istituzioni. Tutti ne escono sconfitti, nessuno è innocente.

Come spesso accade quando vengono sgombrate numerose persone da un palazzo o da un’area occupata, specie quando il palazzo in questione è occupato da anni, la domanda più spontanea che ci si pone è se fosse davvero necessario arrivare agli eventi di ieri, con Piazza Indipendenza diventata prima bivacco poi luogo di sgombero e scontri tra rifugiati e polizia.

Il palazzo in questione, un edificio enorme di oltre 33.000 metri quadri, era un tempo la sede della Federconsorzi. Attualmente di proprietà di alcuni fondi pensione attraverso il fondo Omega, era stato occupato dal 2013 da circa un migliaio di persone, rifugiati riconosciuti come tali dal nostro Paese e di cui le istituzioni si sono dimenticati fino al doppio sgombero di sabato e di di ieri mattina.

Il prefetto di Roma, Paola Basilone, ha dichiarato al Corriere della Sera che lo sgombero era diventato ormai necessario per via di una denuncia presentata dai proprietari. Su una delle questioni più dibattute, ovvero l’uso degli idranti, il Prefetto taglia corto: «[…] Quel mezzo è stato usato dalla Questura per evitare che le bombole di butano lanciate dal decimo piano dagli occupanti si incendiassero e scoppiassero. Lo stesso Dipartimento di pubblica sicurezza era informato dell’utilizzo dell’idrante». 

Peccato però che gli idranti siano stati utilizzati all’inizio delle operazioni, contro i rifugiati accampati nella piazza mentre stavano ancora dormendo. Inoltre, anche la storia delle bombole lanciate dal decimo piano puzza di fesseria, visto che negli stessi video della polizia si vede il lancio di una sola bombola dal primo piano, tra l’altro in un’area vuota. La stessa bombola viene poi lanciata un’altra volta contro gli agenti da un rifugiato, ma non si vede altro.

Prima dello sgombero di sabato del palazzo non è chiaro se fosse stata offerta una soluzione alternativa a queste persone da parte della Regione e del Comune di Roma. Al riguardo, si è espressa solo l’assessore alle politiche sociali del Comune, dicendo laconicamente che la soluzione era stata offerta alle persone accampate in Piazza Indipendenza, ma che gli stessi la rifiutarono. Quale sia stata questa proposta, non è dato saperlo.

E’ stato il portavoce di Unicef Italia a renderla nota: il comune aveva offerto posti per 80 persone in due centri SPRAR (quindi destinati ad accogliere i richiedenti asilo, non chi già gode dello status di rifugiato), mentre i proprietari del palazzo occupato avevano offerto alcuni villini a Rieti, 80 km a nord di Roma. Nonostante quello che dice il Prefetto (ovvero che sono stati i Movimenti di Lotta per la Casa ad aizzare i rifugiati a rifiutare l’offerta), bisogna tenere conto di due cose: A) gli SPRAR sono destinati a chi richiede lo status di rifugiato, non a chi lo è già e vive integrato nel territorio; B) trasferire decine di famiglie ad oltre 80 km di distanza renderebbe molto più difficile il processo di integrazione, poiché si tratterebbe di far ricominciare con nuovi lavori, nuove scuole e via discorrendo queste famiglie.

Su Repubblica, invece, il capo della polizia Gabrielli ha rimarcato senza pietà le colpe: in parte della polizia stessa (in riferimento alla frase detta dal funzionario “Devono sparire, peggio per loro, se tirano qualcosa spaccategli un braccio”) su cui ha annunciato che non si faranno sconti su un episodio tanto grave, in parte contro le altre istituzioni coinvolte (in primis il Comune): 

«[…] La gravità di quello che è successo in piazza non può diventare un alibi per coprire altre responsabilità, altrettanto gravi. E non della Polizia». «E di chi?». «Di chi ha consentito a un’umanità varia di vivere in condizioni sub-umane nel centro della capitale. E dunque che si arrivasse a quello che abbiamo visto oggi».

Poi la chiusa: «Due anni fa, da prefetto di Roma, insieme all’allora commissario straordinario Tronca, avevamo stabilito una road map per trovare soluzioni alle occupazioni abusive. E questo perché il tema delle occupazioni non si risolve con gli sgomberi ma trovando soluzioni alternative. Quindi è accaduto che non ho più avuto contezza di cosa sia accaduto di quel lavoro fatto insieme a Tronca. Era previsto da un delibera un impegno di spesa di oltre 130 milioni per implementare quelle soluzioni alle occupazioni abusive. Qualcuno sa dirmi che fine ha fatto quel lavoro, e se e come sono stati impegnati quei fondi?».

Tutto questo mentre la politica continua a discutere sui massimi sistemi e a chiedere cose che non c’entrano (le opposizioni vogliono le dimissioni del Ministro dell’Interno MInniti, non si capisce per quale motivo), mentre evita di occuparsi dei problemi di sua stretta pertinenza e facilmente risolvibili, come la ricollocazione di questi rifugiati e la risoluzione di altri problemi sociali, lasciandoli incancrenire fino all’esplosione. Come accaduto ieri.

Lorenzo Spizzirri