In un video postato da Novaya Gazeta Europa si vedono gli assalitori che avanzano e sparano a sangue freddo su alcune persone che cercano di ripararsi in un angolo poco fuori dall’ingresso, in un centro commerciale, e poi entrano. Gli assalitori avrebbero anche tirato «una granata o una bomba incendiaria» che ha fatto divampare appunto l’incendio nella sala. Gran parte dei presenti sarebbe riuscita a scappare dal luogo della sparatoria. Secondo quanto riferito sempre dai media russi, era in programma il concerto della band rock Picnic. Il tetto dell’edificio è in fiamme e rischia di crollare mentre ci sarebbero ancora persone all’interno che chiedono aiuto. Il sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin, ha parlato di «una terribile tragedia», senza fornire tuttavia alcun bilancio delle vittime se non confermare che vi sono dei morti. Sobyanin ha deciso di annullare tutti gli eventi sportivi, culturali e altri eventi pubblici a Mosca nel fine settimana. I servizi di sicurezza russi dicono che almeno 60 persone sono state uccise, e che ci sono almeno 145 feriti. L’attacco è stato rivendicato dall’Isis attraverso la sua agenzia di stampa “non ufficiale” al Amaq. Cosa c’entra l’Isis con l’attentato di Mosca?
La rivendicazione dell’Isis
L’Isis ha rivendicato la responsabilità dell’azione a Mosca. I terroristi sarebbero fuggiti a bordo di una Renault bianca.
«I combattenti dello Stato Islamico hanno lanciato un attacco contro un grande raduno di cristiani nella città di Krasnogorsk, situata alla periferia della capitale russa, Mosca. Durante l’assalto, centinaia di persone sono state uccise e ferite, mentre si è verificata una vasta distruzione nell’area prima che i combattenti si ritirassero indenni nelle loro basi», riferisce l’agenzia di stampa «Amaq», affiliata al gruppo terroristico.
Impossibile al momento dire con certezza chi siano i responsabili. Si può però affermare che il modus operandi dei terroristi e l’attacco contro civili inermi in un momento di forte ripresa della repressione interna da parte del regime di Putin — dopo le elezioni di pochi giorni fa e la necessità di controllo sulla popolazione in vista dell’intensificazione della guerra in Ucraina —, possono indurre a guardare con attenzione anche alla pista islamica.
Cosa c’entra l’Isis con l’attentato di Mosca? Un pó di passato
Le cellule cecene erano tra le più feroci e militanti tra i ranghi del Califfato nel suo periodo di massima espansione nel 2014-16. I cristiani iracheni caduti sotto il loro controllo ne parlavano con terrore: erano spesso proprio i ceceni a eseguire gli interrogatori e le esecuzioni più feroci.
Durante le battaglie contro le truppe di Bashar al-Assad erano ancora i ceceni a dare la caccia con maggiore determinazione ai soldati russi inviati da Putin per sostenere il regime. Quando poi, tra il 2017 e 2018, Isis venne battuto, parecchi analisti puntarono il dito sul pericolo rappresentato dai militanti che tornavano alle loro case nelle province musulmane della Russia.
Alcuni di loro formarono anche cellule agguerrite per cercare di scalzare il regime di Ramzan Kadyrov nella stessa Cecenia. Altri tornarono nelle repubbliche islamiche del Caucaso del nord dove molti dei profughi delle battaglie in Cecenia avevano trovato rifugio creando un attivo movimento locale e nel 2016 agivano sventolando le bandiere nere e gli slogan di Isis.
Le stesse autorità di Mosca nel 2016 indicavano che la guerriglia locale potesse contare su oltre 5.000 elementi. Le loro azioni sono state sporadiche. Il 18 febbraio del 2018 un militante di Isis uccise cinque persone nella chiesa russa di Kizlyar. Altri scontri a fuoco sono avvenuti nel 2019 in Daghestan e sembra che alcuni elementi si siano spostati in Azerbaigian.
Solo pochi giorni fa, ha riferito la Cnn, gli Stati Uniti avevano avvertito la Russia del rischio di attacchi da parte dell’Isis-K, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Una rivendicazione, quella degli islamisti, che ha avuto l’effetto di spegnere sul nascere o almeno di smorzare le tensioni tra Washington e Mosca sulla matrice dell’attacco e sul presunto ruolo di Kiev.
L’Isis-K, sonosciuto anche come Wilayat Khorasan, è la branca afghana dell’Isis apparsa per la prima volta nel 2014. Il nome Khorasan si traduce in “La terra del sole”, e secondo il Centro per gli studi strategici e internazionali, si riferisce a una regione storica che comprende parti dell’Iran, dell’Afghanistan e del Pakistan. Sulla base di questa visione, si pone come obiettivo la fondazione di un nuovo califfato che riunisca questi tre Paesi, ma anche alcune ex repubbliche sovietiche, come il Turkmenistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan. Una chiara minaccia per la Russia, che non dimentica le ribellioni islamiste nel Caucaso settentrionale, in particolare in Daghestan e in Cecenia con le due guerre degli anni Novanta e una lunga serie di sanguinosi attentati che fecero stragi di civili in varie città russe, compresa la capitale.
Sanaullah Ghafari, alias Shahab al-Muhajir, è il leader del gruppo: secondo il Dipartimento di Stato Usa, l’emiro è stato nominato nel giugno 2020. E sotto la sua guida, come altri gruppi terroristici, l’Isis-K prende di mira le forze statunitensi, i loro alleati e i civili. Ma a differenza di altre organizzazioni, l’Isis-K ha combattuto apertamente anche contro altre organizzazioni islamiche estremiste, come i talebani – sono loro i responsabili dell’attentato suicida all’aeroporto di Kabul del 26 agosto 2021. Ed era pronta ad attivarsi anche contro le comunità ebraiche come vendetta per le operazioni israeliane a Gaza: solo due settimane fa, i servizi d’intelligence russi hanno rivendicato di aver eliminato una cellula dell’Isis che pianificava un attacco contro una sinagoga proprio a Mosca.
Si poteva prevedere?
Il 7 marzo l’ambasciata degli Stati Uniti a Mosca aveva reso pubblica un’allerta di sicurezza per i cittadini statunitensi in città, perché aveva ricevuto «rapporti secondo cui estremisti» avevano «piani imminenti di colpire grandi raggruppamenti di persone a Mosca, compresi concerti». Secondo l’ambasciata questa allerta sarebbe rimasta valida per 48 ore, dunque fino al 9 di marzo. Il presidente russo Vladimir Putin aveva minimizzato questi allarmi, dicendo che si trattava di «provocazioni» dell’Occidente che avevano l’intento di «intimidire e destabilizzare la nostra società».
Poi l’attentato di ieri al Crocus City Hall di Mosca. Davanti al teatro è arrivata un’enorme quantità di mezzi, tra polizia, ambulanze, mezzi dei pompieri ed elicotteri. Secondo i media russi sono intervenute anche le forze speciali, che sono entrate nell’edificio. Sempre i media russi, che citano testimoni sul posto, dicono che ci sono state almeno due esplosioni, non è chiaro causate da cosa: l’ipotesi è che siano state lanciate delle granate o altri ordigni esplosivi di qualche tipo, ma le informazioni sono ancora molto confuse. Si è sviluppato anche un grosso incendio. Sul posto sono stati inviati elicotteri per cercare di spegnerlo: le autorità russe hanno fatto sapere che l’incendio è sotto controllo.