A mezzo secolo dal Sessantotto, cosa è rimasto di quel movimento che sembrava dover cambiare il mondo? Dopo ben 50 anni è il momento di ragionare su questa rivoluzione. Riuscita o fallita a seconda dei punti di vista. Ma al tempo stesso innegabile.
Cosa ci ha lasciato il Sessantotto? Sono passati 50 anni, ben 5 decenni da quell’insieme di fatti ed eventi, soprattutto di politica. Una distanza sufficiente per poterli guardare con una certa oggettività. O almeno senza un elevato coinvolgimento che, lo sappiamo, non aiuta le riflessioni e i bilanci storici.
Ma partiamo dall’inizio. Cosa è stato il Sessantotto? Un movimento, un insieme di eventi che ha lasciato tracce di cui spesso nemmeno ci si rende conto. Per capirne l’importanza basta dire che nulla, dopo, è più stato come prima. Le proteste esplose nel 1968, quelle contestazioni, quei movimenti hanno fatto il giro del mondo. Per dirla con il linguaggio di oggi: sono diventate virali. Tanto che, a mezzo secolo di distanza, si continua a discutere di quello che hanno significato. E se quella rivoluzione possiamo considerarla riuscita o fallita.
Oggi come allora, sono evidenti le contraddizioni delle società capitaliste avanzate che proprio il Sessantotto ha rivelato. Siamo (di nuovo) in crisi. Stavolta però sembriamo meno battaglieri. E allora andiamo a ricordare quel movimento sociale e politico di protesta per i diritti civili. Quel mondo in rivolta che sembra spento. A volte o da alcuni attaccato e da altri osannato, tornare a riflettere sul 1968 potrebbe darci la chiave su cosa fare ai giorni nostri. Anche a chi non c’era. Anche a chi nemmeno sa cosa è successo.
Il Sessantotto nelle scuole e nelle università italiane
Il Sessantotto nasce nelle università. La miccia viene accesa dagli studenti universitari e dalle proteste contro la guerra in Vietnam. Arrivano gli hippy e il vento contagioso di qualcosa di nuovo, che investe rapidamente l’Europa occidentale. E tocca il suo apice nel breve ma intenso Maggio francese.
E il Sessantotto italiano? Nel nostro Paese il movimento di protesta era partito con due anni d’anticipo ed è durato più a lungo di quello francese. Correva l’anno 1966, quando il giornale studentesco del liceo Parini di Milano, La Zanzara (vi ricorda qualcosa?), pubblicò un’inchiesta sulla libertà sessuale. Il titolo era: “Cosa pensano le ragazze d’oggi”. I redattori Marco De Poli, Claudia Beltramo Ceppi e Marco Sassano e il preside dell’Istituto vennero processati.
La protesta arriva nello stesso periodo anche nelle università. Si inizia dall’ateneo di Trento. Poi, nel 1967, anno della morte di Ernesto Che Guevara, la Cattolica di Milano, la Facoltà di Lettere di Torino. Fino al 1 febbraio 1968, data dell’occupazione della facoltà di lettere a Roma.
Il movimento studentesco si consolida. Compaiono nomi che ritroveremo, in parte, nella politica dei decenni successivi. Ci sono leader come Massimo Cacciari, a Padova, o Mario Capanna, del movimento studentesco milanese. A Roma troviamo Franco Piperno e Oreste Scalzone mentre a Pisa Gian Mario Cazzaniga e Adriano Sofri.
Il Sessantotto arriva nelle fabbriche e nelle strade
Il Sessantotto ha il suo momento di svolta quando la contestazione esce dalle università per approdare alle strade e alle fabbriche. E quando arriva il corteo di protesta del 1 marzo che mette insieme tutte le Università italiane. Siamo a Valle Giulia, sede della facoltà di architettura di Roma, vicino a Villa Borghese. Gli scontri con la polizia durano ore, l’eco mediatico è immenso. Un centinaio di artisti, fra cui Giò Pomodoro, Arnaldo Pomodoro, Ernesto Treccani e Gianni Dova occuparono il Palazzo della Triennale.
Succede così che, nell’Italia del “miracolo economico”, dell’individualismo e della corsa ai consumi, i giovani si sono sollevati spontaneamente tutti insieme per un mondo più autentico e giusto. Succede anche che Pier Paolo Pasolini si schieri con i poliziotti, considerati dallo scrittore i veri proletari. Mentre gli studenti, secondo lui, erano per la maggior parte figli di papà.
Figli di papà o no, è da quelle proteste che abbiamo ottenuto pietre miliari dei nostri diritti. L’accesso all’università per tutti, non solo a chi aveva frequentato il liceo classico o scientifico, come era previsto allora. La lotta all’autoritarismo, con tanti ragazzi che iniziarono a uscire di casa. E poi quello spirito libertario, nei rapporti privati, come nelle fabbriche, che portò alla richiesta della riduzione dell’orario di lavoro e di un salario uguale per tutti.
Sessantotto: cosa ci ha lasciato
Ed ecco allora che il Sessantotto ha cambiato lo stile di vita, unito nella lotta studenti e operai, modificato il diritto di famiglia, visto nascere il femminismo e lo statuto dei lavoratori. Ci ha “regalato”, noi che non li abbiamo strappati con le lotte, l’emancipazione. Nascono da quello spirito anche il diritto ad abortire e quello di divorziare.
Se non vi sembra molto, pensate come sarebbe la vostra vita senza quei diritti. E quando vi sembra che non si possa fare nulla per cambiare le cose, ricordatevi che c’è chi l’ha fatto. Battendosi per le idee in cui credeva.
Federica Macchia