Dal 1 luglio in Bangladesh gli studenti protestano contro un sistema di quote per accedere alla pubblica amministrazione che riserva il 30 per cento dei posti di lavoro ai figli e ai nipoti dei veterani della guerra di liberazione dal Pakistan, che nel 1971 portò alla nascita del Bangladesh. Gli impieghi nel settore pubblico sono ambiti perché sicuri e ben remunerati, ma ogni anno con tremila posti in palio ci sono quattrocentomila laureati. Le manifestazioni, cominciate pacificamente, sono degenerate in violenza dopo che gruppi di attivisti della Bangladesh chhatra league, l’ala studentesca della Lega awami, il partito della prima ministra Sheik Hasina, hanno attaccato i manifestanti con spranghe di ferro e altre armi. Il governo ha mandato la polizia e le forze paramilitari di frontiera a sedare le proteste e il bilancio è di decine di morti e almeno un migliaio di feriti in diverse città del paese. Sui numeri non c’è certezza: mentre scriviamo l’Afp ne ha contati 32 sulla base dei dati forniti dagli ospedali ma altre fonti parlano di almeno una settantina di vittime. Da giovedì i siti dei mezzi d’informazione non sono più accessibili. Il sistema delle quote era entrato in vigore nel 1972 ed era durato fino al 2018, quando un’ondata di proteste studentesche che ne chiedeva la riforma costrinse il governo, guidato sempre dall’attuale prima ministra Shehik Hasina, ad abolirlo. In realtà allora come oggi gli studenti non chiedevano di abolire le quote tout court, perché oltre al 30 per cento dei posti riservati ai discendenti dei veterani ci sono quote riservate a gruppi svantaggiati come persone con disabilità, donne e residenti in distretti remoti. In tutto il 56 per cento degli impieghi pubblici di livello base sono assegnati ai titolari delle categorie protette, e con la disoccupazione giovanile intorno al 12 per cento e 800mila neolaureati senza lavoro è facile immaginare il malcontento degli studenti.
Cosa sta succedendo in Bangladesh, gli studenti manifestano e il governo spara
Cresce la preoccupazione internazionale per la situazione in Bangladesh, dove i disordini scoppiati a seguito delle manifestazioni di protesta contro il governo hanno causato almeno 115 morti. Venerdì, il governo ha imposto il coprifuoco dalla mezzanotte fino alle 10 di domenica e ha schierato l’esercito. I dimostranti hanno sfidato la legge, tornando in strada. Sono stati respinti con le armi. Non è chiaro se ci siano nuove vittime. Oggi il Medical College Hospital di Dacca ha ricevuto 27 cadaveri, dopo che per cinque giorni la polizia ha lanciato gas lacrimogeni e granate stordenti.
Da giovedì le autorità hanno imposto un blackout di Internet a livello nazionale, che ostacola gravemente le comunicazioni all’interno del Paese e con l’estero. Anche le telefonate dall’estero sono difficoltose, mentre le organizzazioni non governative non riescono ad aggiornare i propri siti web e account social.
Finora gli scontri più violenti finora stati quelli di venerdì, nei quali sono rimasti feriti almeno 300 poliziotti: 150 sono ricoverati in ospedale. Il portavoce della polizia, Faruk Hossain, ha detto che gli agenti si sono scontrati con «centinaia di migliaia» di manifestanti.
All’alba le strade di Dacca, che è una megalopoli di 20 milioni di abitanti, apparivano pressoché deserte. Soldati a piedi e mezzi corazzati pattugliavano i quartieri.