Quello che spaventa è la condizione stessa del rischio, che oggi comporta il sistema digitale contemportaneo, con cui pensiamo di esserci evoluti. E, in effetti, il digitale la vita ce l’ha migliorata. Rinnegare gli effetti benefici dell’avanguardia e degli sviluppi del settore tecnologico, o quale esso sia, non è la strategia per condannare quelli negativi. Lo stesso processo che si fa per il linguaggio: non è la parola da censurare, ma come noi la usiamo, in che contesto la scegliamo, con quale tono la pronunciamo. In poche parole, qual è la nostra intenzione? Allo stesso modo, non è abolendo strumenti digitali che limiteremmo il cyberbullismo, ma è educandoci al loro utilizzo che eviteremmo il fenomeno. 

Bullismo in internet” quando l’offesa avviene tramite la rete, configurati come una violazione del Codice civile e del Codice penale, oltre che della Legge sulla Privacy (196/2003). La prepotenza della violenza, con il digitale, è allo stesso modo reale. A decretarne la realtà sono le conseguenze del fenomeno in crescita, in particolare tra i più giovani. Il cyberbullismo trasferisce la violenza su un canale indiretto, ma che non soltanto non sminuisce il reato: lo amplifica, esattamente come fa il virtuale. Perché se c’è una cosa che è un grande vantaggio, quando è bene, e un grande rischio, quando è un male: è la viralità, la velocità, la facilità con cui si propaga un messaggio, un contenuto, una critica. E anche una violenza. 

Cyberbullismo: se nella violenza, anche il virtuale è reale 

A preoccupare non è soltanto l’ascesa del cyberbullismo ma la constatazione del suo sviluppo inversamente proporzionale all’entità di chi lo subisce: più sono giovani le vittime e maggiore è la ferocia. Secondo il Ministero della Salute, infatti, il fenome è denunciato maggiormente a 11 anni (10,1%) che non a 13 (8,5%) o a 15 (7%), indipendentemente dal genere. Rispetto al 2020, il fenomeno è aumentato del 40 percento e sembra spaventare più del bullismo. È la viralità del cyberbullismo a renderlo un problema sociale più complesso da combattere. È il suo spazio normativo che lo rende un reato agghiacciante. Ciò che virtuale è anche reale, in questi casi. Eppure, la rete è capace anche di superare la realtà: diventa infinita, ripetuta, marchiata, perseguitata. La diffusione capillare della rete auto-alimenta la violenza stessa, svilendo ogni vittima dal proprio controllo e dalla difesa. Come ci si può proteggere da un fiume che non sappiamo dove sfocia? Se da un lato la rete nasce anche per evitare l’isolamento sociale, il cyberbullismo sembra invece conseguirlo. 

L’appropriazione indebita della vita altrui, l’offesa e la violenza tramite la rete: c’è una legge che ci protegge? Valida la L.71/2017 (c.d. Legge Ferrara), entrata in vigore il 18 giugno 2017 con l’obiettivo di “contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche”. Perché, allora, il tavolo tecnico né il piano di contrasto, né il codice di co-regolamentazione e né il sistema di monitoraggio hanno ancora visto la luce?

Più un fenomeno si dilaga velocemente più la protezione diventa non soltanto uno strumento di protezione ma la prima forma di contrasto alla violenza. Necessaria e urgente, mentre aspettiamo che molte battaglie trovano voce: e per non toglierla più a nessuno.   

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