Un dramma. Una goduria immensa. Chi piange e chi ride di gusto. Niente di più classico quando si parla di derby. Nel calcio, nel basket e in qualsiasi sport dove la sfida, tra due fazioni inconciliabili, rappresenta letteralmente tutto. Figuriamoci quando quella partita può decidere uno Scudetto. Roba da non parlare nemmeno al miglior amico. Colpevole di avere un piccolo/enorme difetto. Quello di professare una fede totalmente opposta alla nostra. Sì, perché a Bologna si è quasi immersi in una crociata. Due stili di vita e modi di pensare che non potranno mai trovare un punto di congiunzione. Forse forse, solo dopo l’ultima sirena. Ma dopo quel 31 maggio del 1998, qualche rapporto sarà rimasto in stand-by almeno per qualche giorno. Per essere ottimisti. Ed è tutta colpa di un serbo. Tanto forte quanto odioso per chi non può vantarlo nella propria rosa. Stranamente, però, quella sera aveva deciso di fare da spettatore. Un vero e proprio fantasma di lusso per quasi tutto il match. Quasi, appunto. Mai dare per morto un fenomeno del genere. Gli basta poco per cambiare il corso della storia. Stiamo parlando, ovviamente, di Predrag Sasha Danilovic. Uno che 22 anni fa si prese la responsabilità di trasformarsi in incubo ed eroe per un’intera città.
Sasha Danilovic, esperto di derby
Tutto fermo. Per le strade di qualunque città, scordatevi qualsiasi rumore. Il giorno del derby, esiste solo il derby! Che sia un palazzetto o uno stadio, le attenzioni vanno tutte li. Non c’è spazio per altro. E chi meglio del nostro Sasha può spiegare il valore di una stracittadina. Uno laureato all’“Università dei derby”. Danilovic, infatti, esordisce a 18 anni nel Partizan. A Belgrado. Ed è arcinoto come nella capitale serba ci sia una “cordiale” e “pacata” convivenza con i propri nemici… Ai bianco-neri si trova, quindi, a condividere lo spogliatoio con compagni destinati inevitabilmente a fare strada. Chi in NBA chi in Europa. Tra questi c’è Vlade Divac, prossimo a calcare e incantare i parquet a stelle e strisce, e Sasha Djordjevic, uno che in Italia si farà valere eccome.
Nel roster figura anche Zejko Obradovic. Veterano del club ormai a fine carriera, prossimo a rimanere nel basket come allenatore. Non, però, da meteora, ma come il più vincente di tutti i tempi. Nel 1991 si appropria della panchina del Partizan. La sua prima stagione terminerà con il primo di ben 9 successi in Eurolega(all’epoca ancora Coppa Campioni). Tra i protagonisti indiscussi c’è anche quel 22enne nato per vincere. Danilovic in quella stagione riesce a mettersi in luce. Suscitando, così, l’interesse di alcuni club europei. Ma non solo. Viene pure chiamato dai Golden State Warriors al Draft 1992. E’ convinto, però, di avere ancora molto da dare in Europa. Infatti si accasa alla Virtus Bologna. Mai acquisto fu così azzeccato per le Vu Nere.
Danilovic, andata e ritorno alla Virtus
Sì, perché Danilovic in Italia fa il bello e il cattivo tempo. Ha fame di vincere. Un bisogno interiore che si traduce subito sul campo. In 3 anni alla Virtus è protagonista indiscusso di 3 Scudetti(93-94-95). In questo periodo gioca da vero fuoriclasse. Tanto che sembra essere arrivato il momento giusto per volare oltre oceano. Nel ’95 firma per i Miami Heat. Rimane in Florida fino alla metà della stagione successiva, per poi tentare fortuna con i Mavs. In NBA non si è visto sicuramente il miglior Danilovic. Lui ha bisogno di sentirsi star. Il condottiero che ti conduce verso i trionfi più ambiti. Beh, in America Sasha non si è mai considerato tale. Non è facile diventare il numero 1 a quei livelli.
Nell’estate ’97 è arrivato, dunque, il momento di ritornare a casa. A Bologna, dove Danilovic sente di aver lasciato qualcosa di incompiuto. E’ un anno di ritorni per il mondo Virtus. Infatti, oltre al fenomeno serbo anche Ettore Messina ha fatto dietro-front. Intorno a Danilovic c’è un roster di altissimo livello. Tutti uniti, quindi, verso obiettivi più alti possibili. A partire dall’Eurolega. Tanto ambita dalla Kinder, non essendo mai ancora arrivata sotto le due torri. Una cavalcata che culminerà con la vittoria di Barcellona. Ma di quel successo rimane emblematica la semifinale d’andata con la Fortitudo. Sfociata in una clamorosa rissa, con la Effe che terminò addirittura in 3 quell’iconico match. Ma niente a che vedere con ciò che sarebbe accaduto 2 mesi dopo.
Virtus – Fortitudo: il “tiro da 4”
In campionato la Virtus domina incontrastata la regular season. Chiude, infatti, prima con un record di 23 vittorie e 3 k.o. Subito dietro ci sono invece i cugini della Fortitudo. La Effe si sbarazza facilmente, ai playoff, di Siena e Reggio Emilia. La Kinder, invece, perde una gara sia contro Roma che con Varese, ma riesce comunque ad accedere alla finale. Lo Scudetto si deciderà quindi in un derby infuocatissimo. Gara 1 è di marca fortitudina. La decide David Rivers con due liberi a 8 decimi dalla fine. E come introduzione già dice tantissimo… La Virtus porta la serie sull’1-1, capitolando poi in Gara 3. Il quarto atto di questo pezzo di storia del basket italiano potrebbe già essere decisivo. La Effe avrebbe anche la possibilità di cucirsi il primo Scudetto, se Wilkins non sbagliasse un tiro importantissimo. E così viene tutto rimandato a Gara 5. Un film nel film, in cui Danilovic è assoluto protagonista.
La Virtus arriva abbastanza acciaccata. E’ un momento della stagione in cui il fattore stanchezza si fa sentire eccome. Lo stesso Danilovic non è al meglio. I problemi alla caviglia lo limitano e infatti non sembra particolarmente utile alla causa. La Fortitudo è avanti e a 27 secondi dalla fine Gregor Fucka ha tra le mani i liberi per chiudere definitivamente i giochi. “L’Airone” segna il primo, ma il secondo finisce invece tra le mani di Abbio. Danilovic è marcato da Attruia e si trova sul lato sinistro. Blocco di Binelli e il serbo lo sfrutta per liberarsi dell’avversario. Una volta con il pallone tra le mani c’è un altro blocco di Abbio. Sasha palleggia per due volte verso il centro e spara da 3. Nel frattempo Wilkins commette un errore gigantesco. Cerca di sporcare la sfera con la mano sinistra, andandoci però con troppa superficialità. L’arbitro fischia fallo, anche se dubbio. Danilovic segna pure il libero aggiuntivo e gara 5 si protrarrà all’overtime.
Danilovic, l’uomo dei momenti decisivi
La partita prende una piega tutta a favore della Virtus. Danilovic ora più che mai è nel vivo del gioco. Tanto da mettere in scena un supplementare esemplare. Segna ben 9 punti. Tutti decisivi per regalare alla Virtus uno Scudetto che mancava dal ’95. Il campione ha, dunque, deciso di cambiare le sorti di un tricolore che sembrava già andato per la Virtus. Solo lui poteva raddrizzare le cose, perché Danilovic ha sempre avuto il dono di fare la cosa più giusta al momento giusto. Questo l’ha sempre contraddistinto nella sua carriera. Messina lo sapeva benissimo e non avrebbe mai pensato di sostituirlo. Nessuno poteva garantire una tale affidabilità come il serbo. Anche con una caviglia malconcia. Questo derby è forse la massima espressione di cosa fosse in quegli anni Basket City. Due eterne rivali che, non solo giocavano per la supremazia cittadina, ma anche per prevalere a livello nazionale ed europeo. Per la Fortitudo questa è nettamente la beffa più atroce di sempre. Mentre per i virtussini rimane ancora oggetto di sfottò verso i propri cugini. La Effe si sarebbe poi rifatta nel 2000.
L’ingresso nel nuovo millennio segna anche la fine della carriera di Predrag Danilovic. Ritiratosi a soli 30 anni con ancora sicuramente tanto da dare. Doveva fare da mentore ad un certo Manu Ginobili, ma non sentiva forse ulteriori stimoli. Intraprende quindi la carriera da dirigente. Dal 2007 al 2015 è stato presidente del suo Partizan. Il Danilovic giocatore lo si può considerare come un personaggio dall’ego fin troppo smisurato. Quasi altezzoso. Tanto che non sembrava andasse proprio d’accordo né con i propri allenatori che con i compagni. Con lui però vincevi e questo, bisogna dirlo, non è mai dispiaciuto a nessuno. E’ stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi giocatori degli anni ’90. Tra i più estrosi di quella fucina di talenti uscita dalla ex Jugoslavia. Alla Virtus sono più che d’accordo. Tanto che il numero 5 non potrà essere indossato da nessun’altro.
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