David Livingstone, l’Africa al centro

Foto dell'autore

Di Paolo de Jorio

David Livingstone nasce nella Scozia vittoriana il 19 Marzo del 1813. Costretto a lavorare per non gravare sulla famiglia di estrazione operaia, nel frattempo frequenta gli studi di medicina. Il suo grande sogno è diventare missionario e spera, con la sua formazione medica, di poter essere scelto per evangelizzare le popolazioni autoctone del continente africano. Le sue speranze non si riveleranno vane, infatti, nel 1841 giunge a Città del Capo, odierna Sudafrica.

David Livingstone: cristianesimo, commercio e civiltà

David Livingstone (1813–71), fotografia di Thomas Annan,1864
David Livingstone (1813–71), fotografia di Thomas Annan,1864

I primi anni in Africa non furono semplici per Livingstone: a causa di dissapori con alcuni suoi compagni di missione e per una scarsa efficacia della sua evangelizzazione e nel 1847 giunge a Kolobeng, oggi in Botswana. Qui, dopo due anni di indefessa predicazione riesce a convertire il capo villaggio Sechele, il quale morì due anni dopo. Negli anni precedenti a Kolobeng, l’esploratore scozzese intuì il potenziale missionario delle località più interne dell’Africa. Prese la decisione, quindi, di addentrarsi in maniera più approfondita nelle regioni più interne del continente. Inoltre il suo effettivo e primario obbiettivo era quello di abolire la schiavitù, pertanto, intraprendere un’impresa mai tentata da un occidentale poteva avere un enorme impatto mediatico ai fini di propugnare i suoi ideali. Nel 1851, così, partì la spedizione con a capo David Livingstone, partì da Lyniati sulle rive del fiume Zambesi. Il capo del villaggio, Sekeletu, per l’impresa gli affidò 27 esploratori autoctoni e un centinaio di suoi guerrieri. Le rive dello Zambesi vennero tutte battute e cartografate fino all’Oceano Indiano. Il viaggio terminò, appunto, a Quelimane.

David Livingstone fu il primo europeo ad aver attraversato internamente l’Africa da un oceano all’altro. Tuttavia la sua più grande scoperta fu quella delle cascate Mosi-oa-Tunya (il fumo che tuona), rinomate dall’esploratore stesso come Cascate Vittoria, in onore dell’attuale regnante d’Inghilterra. Livingstone divenne effettivamente famoso, i giornali dell’epoca parlarono a lungo della sua impresa e della sua missione. Combattere la schiavitù, secondo Livingstone era possibile soprattutto con la cristianizzazione delle popolazioni africane, conferendo loro un’effettiva dignità. Inoltre con i suoi sforzi fu aperta una nuova via commerciale, pertanto, si auspicava anche un nuovo modello alternativo alla schiavitù che sembrava unico sistema economico nell’Europa colonialista. Ad oggi, inciso nella pietra che ha effigiato la sua figura possiamo leggere il suo motto e il suo sogno. Cristianesimo, commercio e civiltà.

La nascita del Nilo

L’esploratore scozzese compì, negli anni successivi, altri due viaggi nel continente Africano. Dal 1858 al 1864 ebbe luogo un’esplorazione organizzata dalla Royal Geographical Society verso l’area sud-est dell’Africa. La spedizione aveva come scopo la ricerca di nuove riserve minerarie e risorse naturali. Purtroppo le aree attraversate dai missionari erano interessate da svariate azioni di guerra che, pur accettando la neutralità della spedizione di Livingstone, resero non di facile riuscita l’esplorazione. Infatti, nel 1864, ordini superiori richiamarono la ritirata. Il viaggio si concluse con nulla di fatto se non con un arricchimento per le scienze naturali.

Il terzo e ultimo viaggio ebbe come obbiettivo la ricerca delle leggendarie sorgenti del Nilo. All’epoca era forte il dibattito circa l’effettiva natura sorgiva dei Laghi Albert e Vittoria. Livingstone, allora, tentò di dimostrare che in realtà le sorgenti nascevano più a sud dei due grandi bacini idrici. La spedizione fu anch’essa costellata da peripezie e decimazione della carovana, dettata da arrendevoli colleghi e malattie. David Livingstone si trovò, infine, ammorbato nella giungla dalla malaria e una polmonite. Fu tratto in salvo da mercanti arabi che lo soccorsero e lo traghettarono verso un loro avamposto e per cinque anni se ne persero le tracce. In questi anni Livingstone sopravvisse a svariate malattie tropicali e alle peggiori condizioni di vita possibili. Fu costretto anche chiedere cibo da un recinto come intrattenimento delle realtà locali e inoltre assistette al crudele massacro ad opera di mercanti arabi ai danni di ben 400 africani. Livingstone era allo strenuo delle forze e decise di abbandonare la missione; vanamente, cercò di far giungere una corrispondenza a Zanzibar. Su 44 dispacci uno solo arrivò a destinazione.

Il dottor Livingstone, suppongo!

Henry Morton Stanley, direttore nonché fondatore del giornale New York Herald, nel 1869 decide di intraprendere lui stesso la spedizione di salvataggio di Livingstone. Il Canale di Suez appena inaugurato fu una prima tappa che lo portò nelle regioni più recondite dell’Africa a lui stesso più che ignota ma forte era l’intento di riportare la persona o le spoglie del missionario scozzese. Così il 10 Novembre del 1871 sui lidi del lago di Tanganica, tra la Tanzania e il Congo, venne riconosciuto in un uomo malato e stanco la figura del celebre esploratore David Livingstone. Le cronache tramandano un celebre dialogo tra i due inglesi.

Stanley, non appena riconobbe l’uomo si rivolse a lui con un impareggiabile aplomb britannico:”Dottor Livingstone, i presume!“. La risposta del missionario che ne seguì fu altrettanto british. “Yes, I feel thankful that I am here to welcome you (Sì e sono grato di darVi il benvenuto qui). Tuttavia risulta improbabile che nel bel mezzo del continente africano dinnanzi ad un uomo malato, seppur britannico, un gentiluomo occidentale si sarebbe rivolto con tale perizia. Infatti si scoprì, successivamente, che le pagine del diario di viaggio di Stanley stesso circa l’incontro con Livingstone erano effettivamente strappate. Tale era ormai l’aura di leggenda attorno all’incontro che la “versione” giornalistica, con molte probabilità, prevalse sulla realtà. Ad ogni modo il giornalista tentò di riportare in patria David Livingstone il quale strenuamente rifiutò. Forte era la sua volontà di continuare la sua missione. Morì, così, nel 1873 sul Lago Bengweulu, in Zambia. Alle sue spalle lascia 50 000 chilometri di percorso compiuto e importantissime scoperte geografiche di cui ancora oggi ne ammiriamo la bellezza.

Paolo de Jorio

Seguici su Google News