Cultura

“Delitto e castigo”; Bogomolov come Otello contro tutti

Folle, irriverente, assurdo e provocatorio. “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij,
prende nuova vita e morphé con l’allestimento del regista moscovita Konstantin
Bogomolov, in scena nella maestosa cornice del Teatro Argentina dal 3
aprile fino al 15 aprile.
Una chiave di lettura dell’antico romanzo, figlio del poeta e scrittore russo,
completamente contemporanea e contestualizzata ai giorni nostri. Raskol’nikov è un moro africano, privo di ogni pura ideologia e di morale, colpevole dell’omicidio di una donna bianca e di sua figlia. Bogomolov
riprende il topos comune del razzismo dinanzi agli immigrati, responsabili
indistintamente di qualsiasi nefandezza.
Una scenografia estranea alla San Pietroburgo dell’Ottocento descritta nel
romanzo originale di Dostoevskij; un salotto dai color pastello, quattro installazioni ed una telecamera che riprende alcune
scene recitate dagli attori, in modo istantaneo e da una prospettiva diversa rispetto a
quella del pubblico.
Uno stile che ricorda il “modus operandi” del regista Bernardo Bertolucci, ovvero la
singolarità nel montaggio delle scene ed il soffermarsi in particolari dell’azione,
talvolta futili, rispetto al contesto generale dell’ambientazione. Forte e travolgente la sessualità con un continuo richiamo alla fellatio e all’atto sessuale, che sfociano nella
metapornografia iperbòlica. La corruzione è rappresentata dal personaggio del
poliziotto; un omosessuale, malleabile psicologicamente attraverso mere lusinghe,
pronto a tradire i valori etici della divisa che indossa.
La religiosità è vista dai protagonisti come un medium tramite il quale espiare i propri
peccati. Un manichino asessuato è situato in modo fisso nella scenografia. Un
trascendente che può suscitare blasfemia. Un dio né uomo né donna che sorveglia i personaggi in scena tramite la telecamera, in una
prospettiva soprannaturale.
Gli attori si muovono nello spazio attraverso gesti e movimenti tipici dello stile
Grotowskiano, favorendo la
naturalezza corporea e lo stato primigenio del segno.
Bogomolov affronta, altresì, il tema del capitalismo e del consumismo dispendioso e
vano, introducendo in scena molti oggetti griffati la cui visione suscita inconsciamente
nello spettatore la riflessione sul senso del attuale mondo capitalista.
Il rifiuto da parte di Bogomolov di una rappresentazione stereotipata e romantica del
testo “madre” di Dostoevskij, ha provocato sentimenti contrastanti fra il pubblico,
suscitando un connubio di disgusto e meraviglia.
Hermann Nitsch, performance artist austriaco, riprende queste sensazioni nel suo
“Teatro delle orge e dei misteri”, dichiarando che codeste manifestazioni portano, di
riflesso, alla purezza ed alla ritualità collettiva .L’ipotesi di Nitsch è similare al teatro del regista russo; Bogomolov rileva il ruolo maestoso di un Cristo onnipotente e
una sessualità irritante che manifesta l’aggressività oppressa nell’individuo ,una potenza irriverente che disturba il pubblico in sala.
L’immigrazione è uno dei punti focali dell’allestimento di Bogomolov. L’uccisione di due
donne dalla carnagione chiara da parte di un moro è un attacco alla società faziosa e
segregazionista. Come Otello, preso da un raptus di gelosia, uccide Desdemona,
Raskol’nikov uccide le due donne a causa del denaro.
Un delitto, quello di Bogomolov, privo di un vero e proprio castigo “penale”. Il vero
castigo, in questo caso, viene designato dal Cristo onnipotente, che decide e controlla
il fato dei personaggi, condannati eternamente ad atti peccaminosi.
Delittuosi e colpevoli, noi esseri umani siamo castigati ad un’inquisizione continua.
Bogomolov estrapola dal capolavoro di Dostoevskij istinti primitivi che confondono lo spettatore, ma è proprio nello smarrimento che l’essere umano trova le risposte a determinati quesiti. E’ questa la “mission” che si è imposto il regista moscovita, rinunciando così ad un successo troppo facile.
Bogomolov è un Otello contro tutti.

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