“Detroit”, quello che è successo al motel

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Di Redazione Metropolitan

Talvolta mi è stata posta una domanda annosa ma legittima: perché ci sono poche donne a dirigere film? La mia risposta è semplice: non ne ho proprio idea. Suppongo che sia così è basta. Il che è un peccato poiché non esiste un ruolo professionale cinematografico indirizzato a un unico sesso. Meno male che esiste allora Kathryn Bigelow che con il suo film “Detroit” ci dimostra cosa significhi superare i pregiudizi e fare grande cinema.

Questa signora è un fenomeno. Non dico che tutti i suoi film siano dei capolavori ma non si possono negare il suo talento e il carisma. In fondo parliamo di una persona che ha diretto filmetti come “Point Break”, “Strange Days”, “Zero Dark Thirty” e “Il Buio si Avvicina” (il mio preferito).

Detroit
Detroit. PhotoCredit: Web

Detroit, Luglio ‘67: un film?

Detroit” sembrava un progetto al di sotto delle aspettative poiché, apparentemente, si presentava come l’ennesimo film deciso a far riflettere gli spettatori sulla recente situazione politica e sociale degli USA, in particolar modo riguardo la discriminazione razziale. Stavolta è il turno delle rivolte avvenute a Detroit nel 1967, scatenate da una retata della polizia in un bar e culminate nell’ambiguo fattaccio dell’Algiers Motel.

Detroit 1967
Detroit 1967. PhotoCredit: Web

La Bigelow e il suo fidato autore, Mark Boal, decidono sin da subito quale approccio seguire: enfatico e spesso retorico come certi film devono essere ma girato con uno stile realistico e dilatato al punto giusto.

Detroit Film
Detroit Film. PhotoCredit: Web

Lotta di quartiere

Sono tanti i personaggi che la regista ci mostra in ben due ore e venti di film ma, grazie alla sapiente scrittura di Boal, nessuno di questi cade nello stereotipo facile. Sarà che gli attori hanno il fisico e l’intensità giusta (in particolare, l’inquietante e sgradevole Will Poulter) ma credo che il merito sia dovuto anche alla scelta di non schierarsi apertamente con uno dei “fronti”. Gli afroamericani sono sicuramente vittime di un sistema troppo “bianco” ma non si può negare che gli scontri del ’67 siano stati provocati anche da loro.

La stessa distinzione tra “buoni” (le vittime dell’Algiers) e “cattivi” (i poliziotti guidati dal disturbato Philip Krauss) non è sempre facile da stabilire poiché il degenero degli eventi è scatenato da un clima di terrore che comporta molti “Errori Umani” (citando uno dei momenti salienti di “Zero Dark Thirty”).

Detroit Film
Detroit Film. PhotoCredit: Web

Violence in the Model City

Detroit” è Grande Cinema. La mano della Bigelow è sicura, il montaggio di William Goldenberg è perfetto e tutta la parte centrale ambientata nel Motel è un crescendo di tensione degno di certi film della New Hollywood degli anni settanta.

Ed è soprattutto un film incentrato su un evento storico che non ha avuto probabilmente la risonanza di tanti tristi episodi degli anni sessanta americani ma di cui le conseguenze si fanno ancora sentire. Alla pari di “BlacKkKlansman” di Spike Lee, “Detroit” si dimostra un film capace di parlare dell’attualità attraverso il passato. Lo fa attraverso tutti i migliori elementi che si possono vedere in un prodotto cinematografico: ritmo, dramma, azione e un finale intenso e non necessariamente conciliante.

Non raggiunge forse i livelli dei suoi precedenti film ma “Detroit” è l’ennesima conferma della bravura di Katrhyn Bigelow come regista e soprattutto come narratrice.

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Detroit Film. PhotoCredit: Web

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Articolo di Michele Alberio