Intere giornate chiusi dentro casa, mille pensieri e stati d’animo diversi, ma puntualmente sempre gli stessi. Insomma, questo periodo è difficile per tutti. Stamattina, dopo la riflessione quotidiana sul senso della vita, mi sono rifugiata in Netflix, ormai mio migliore amico. Dopo aver pensato a quanto fossi diventata nerd nell’ultimo mese, il mio sguardo si è soffermato sul titolo del momento, “Diamanti Grezzi” dei fratelli Safdie, che mi trovo qui a recensire per voi.
Un compito arduo
Il mio compito di oggi è sicuramente arduo; ritengo che questo film, oltre a essere molto impegnativo, non conosca vie di mezzo: lo si ama o lo si odia. Ma andiamo per gradi.
Prima di tutto, qualche tecnicismo. “Diamanti grezzi” è un film del 2019 diretto da Benny e Josh Safdie, dalla durata di 135 minuti. La pellicola è disponibile su Netflix dal 31 gennaio 2020 e la visione è vietata a un pubblico con età inferiore ai 14 anni. Alcuni lo definiscono il film più ansiogeno della storia del cinema, altri ancora come il film dell’anno; altri, invece, lo ripudiano già dopo i primi istanti. E poi ci sono io, che non so ancora a quale categoria appartenere.
“Diamanti grezzi”, la trama
Howard Ratner è un gioielliere, padre, marito e amante. La sua vita è segnata da scommesse, truffe e tradimenti, perfettamente amalgamati con i ritmi di una Manhattan ogni giorno più violenta. Poi, l’arrivo di un pacco direttamente dall’Etiopia, contenente una pietra, rara e diversa da tutte le altre. Il giocatore di basket Kevin Garnett, dopo essersi recato nella gioielleria di Howard e aver visto l’opale, si innamora immediatamente dell’oggetto, ritenendolo in grado di trasmettergli la forza e fortuna necessaria per vincere le sue partite. Così, chiede in prestito l’opale nero per una sola notte, lasciando in cambio un anello dal valore di più 80.000 dollari. A questo punto, lo spettatore è chiamato ad affrontare un viaggio lungo e angosciante alla ricerca di una felicità, che in fondo non arriverà mai, in mezzo a un mondo caotico e disordinato, che sembra avercela fino all’ultimo con il nostro Howard.
Un gioco di numeri
Trovare un significato a questo film è molto complicato, perché le chiavi di lettura possono essere molteplici. Le vicende narrate dai fratelli Safdie si svolgono all’interno della città di Manhattan, in cui, tra i mille grattacieli simbolo della città, si sviluppa la vita frenetica di milioni di americani. Non è un caso che la scelta dell’ambientazione sia ricaduta sulla città più caotica d’America. L’ intento dei registi è infatti quello di mostrare la vita movimentata e disordinata dell’uomo moderno, sempre indaffarato tra mille impegni e giri di affari, che sfiorano sempre più il limite della legalità. Le scene mostrano truffe, spacci di droga, violenza a non finire e tutto questo, in modo crudo e senza alcun freno. La scelta della città è dunque vincente.
Gli stessi personaggi, catapultati in un habitat differente, non avrebbero avuto il medesimo effetto su uno spettatore giovane e dinamico, in grado di immedesimarsi con una realtà di cui spesso è protagonista. Il caos regna sovrano in tutto il film, un caos caratterizzato da un numero illimitato di elementi che sembrano fondersi perfettamente l’uno con l’altro. L’uomo è uno di questi elementi, o meglio, è un numero piccolo e insignificante, in mezzo a un universo immenso.
Questo viene messo in risalto anche da una sceneggiatura caratterizzata da costanti dialoghi e forti suspense, che creano un continuo stato di angoscia e ansia durante tutta la durata del film. Uno sguardo più attento va riservato sicuramente alla prima e all’ultima scena della pellicola, in cui ogni forma di dialogo viene meno e quel senso di serenità tanto desiderata, sembra arieggiare di nuovo nella mente dello spettatore. Non è un caso che queste due scene siano posizionate all’inizio e alla fine del film, quasi a simboleggiare la vita e la morte dell’uomo, l’essenza del suo essere e l’unica forma di felicità raggiungibile dagli individui, all’interno di una società che li definisce solo come numeri.
“Diamanti grezzi”: Il valore della pietra
La chiave di questa felicità è forse la pietra stessa, un oggetto banale e insignificante, a cui solo Garnett riesce ad attribuire un valore. Per Howard la pietra è denaro, guadagno, dollari, niente di più. La pietra è un numero, come tutto il resto. Per Garnett, invece, l’opale è quella forza che gli permette di isolarsi dal mondo e di trovare la tranquillità necessaria per vincere e sopratutto per vivere. Il gesto di Garnett nelle prime scene del film è molto rappresentativo: per ottenere la pietra, è disposto a lasciare a Howard il suo anello, non un anello qualsiasi, ma il simbolo della sua passione, il basket e il riconoscimento per tutti i traguardi raggiunti.
Insomma, come ho precedentemente affermato, le interpretazioni sono molteplici e questa è solo una delle mille sfaccettature che un film così complesso porta con sé. Ne consiglio altamente la visione, la pellicola merita di essere guardata soprattutto per lui, Adam Sandler (Howard Ratner), la vera scoperta del film. Siamo abituati a vederlo in commedie comiche, divertenti, nei panni di personaggi bizzarri e un pò svampiti. Eppure, ritengo che questa sia la sua migliore interpretazione. Il ruolo sembra cadergli a pennello, le sue espressioni sono perfette, i suoi gesti sempre dosati e la sua personalità ben visibile. Insomma, l’attore giusto nel film giusto, nonostante questo non sia bastato per garantirgli la candidatura agli Oscar.
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