Anni fa, credo fosse il 2011 o il 2012, entrai insieme a un mio amico dentro una agenzia di viaggi con l’intento liberatorio di prenotare un biglietto lungo un mese. La scelta ricadde sul Marocco che era entrato ormai da tempo nei miei sogni. La gioia di quel momento fu immensa. Sei mesi dopo muovevo i miei primi passi per Marrakech. Una Marrakech nel pieno del Ramadan, il rito nel  quale si pratica per un mese il digiuno e dove i musulmani devono astenersi anche dal bere dal fumare e dal praticare attività sessuali. La prima sensazione che si ha nel momento che si entra in piazza Jamaa el Fna è confusione. Questa piazza la si può considerare il cuore pulsante di Marrakech, attorno al quale si sviluppa la Medina. Un vero e proprio melting pot di culture e Noi a dirvela tutta, sembravamo le tipiche pecorelle entrate per sbaglio nella tana dei lupi. Dopo un frugale pasto ci facemmo accompagnare a un hotel a caso, da un ragazzo marocchino a caso, in cambio di una piccola ricompensa in denaro a caso (non sarà nè  la prima e nè l’ultima volta), pratica tradizionale che ci avrebbe accompagnato per tutto il viaggio e se all’inizio l’ingenuità ci aveva fatto perdere, nel futuro di quei giorni, tale pratica ci avrebbe salvato in più di una occasione arrivando oggi, ad apprezzarla. Ma ogni cosa a suo tempo. L’hotel non era niente di speciale, ma la cosa speciale che non mancava alle abitazioni erano le tipiche terrazze dove oltre a regalarti fantastici panorami, ti permettevano di dormire sotto le stelle. Ricordo come se fosse attuale il momento in cui, Io e il mio amico, che da adesso in poi per facilitarmi il compito, chiamerò col nome fittizio di Follia, affacciati sulla piazza affollata, con bancarelle illuminate e banchetti dove potevi sederti e farti cucinare di tutto, in due parole street food a 360°, ci guardammo negli occhi e si capì che quella sarebbe rimasta una delle giornate più belle mai vissute. Pochi attimi prima c’era stato il richiamo che serviva a ricordare a tutti i musulmani l’obbligo della preghiera. Da minareto a minareto il richiamo si propagava come trasportato da onde invisibili e le nostre orecchie serfavano pura adrenalina, ci sentivamo elettrizzati da tutte queste novità così lontane e incomprensibili per la nostra cultura liturgica e non. Per un breve attimo ci sentivamo felici, intoccabili dai problemi che ci attanagliavano il cervello, l’università che era e rimane ancora oggi il nostro Vietnam, le donne che allora come adesso rimasero  “miele e merda” e infine, lontani da Noi stessi. Non eravamo più ragazzi problematici in quell’istante ma solo spensierati come non mai, con la prospettiva di una avventura che non avremo dimenticato mai. Ci raggiunse Rami, il ragazzo che gestiva l’albergo e ci offrì del majoun, somigliante ad una palla di pasta, fondente, simile alla marmellata. Ingredienti possono includere miele, noci, frutta secca e semi di cannabis. Ebbene vi lascio immaginare come l’entusiasmo ci pervase. Questa è un’altra caratteristica del popolo marocchino, ovvero questa forma di ospitalità verso lo straniero che Noi abbiamo dimenticato lungo il corso della storia. I giorni seguenti ci siamo trascinati per il mercato, perdendoci innumerevoli volte, e innumerevoli volte ci siamo fatti aiutare per uscire dal labirinto. Odori, voci, animali e soprattutto il tè alla menta, equivalente del nostro caffè tanto da esserne dipendenti, ti catapultavano in un mondo che non potevi immaginare e nonostante abbia viaggiato per mezza Europa, nessun paese regge il confronto con la cucina marocchina. Mai mangiato all’estero cosi bene. Dai piatti tipici come il cous cous, condito con verdure cotte, carne e pesce al tajine, termine che fa riferimento al recipiente di terracotta a forma di cono in cui viene stufata per ore la carne in tutte le sue varianti. A quelli più semplici, dalla zuppa marocchina dal sapore piccante e gustoso all’insalata marocchina fresca e leggera. Ma soprattutto è la maniera con il quale si consuma il pasto, quasi un rito, per farti godere al meglio ogni sfumatura del cibo, conversando di tutto. Good life. Erano passati pochi giorni quando si decise che la prossima meta sarebbe stata Zagora, giù nel deserto. Avete presente quel detto in cui ogni cosa che sale prima o poi dovrà cadere? Probabile che me lo sia inventato adesso ma ecco, Marrakech ci aveva trascinato in alto, Zagora ci avrebbe fatto cadere. Preparate le valigie ci recammo verso la stazione dei bus, un ultimo tè alla menta, una canna all’ombra degli alberi, l’ultimo tramonto di Marrakech. Ci aspettava un lungo viaggio, un viaggio lungo una tortura, destinazione Inferno

 

Giacomo Tridenti