Come ogni favola ai limiti del trash, ci rendevamo conto che oramai il nostro viaggio stava volgendo al termine. Ma non prima di toccare il Paradiso con Chefchaouen. Con il suo clima fresco dopo tanto calore, ci permise di raccogliere i pensieri e comprendere come muoversi nei prossimi giorni. Tutto questo dall’alto della terrazza dell’hotel umile e semplice ma che ci permetteva di dormire sotto le stelle ogni notte e svegliarsi con le prime luci del giorno. Ci si innamora facile della piccola cittadina di Chefchaouen, con la sua tipica tonalità azzurra che disegna un ambiente per niente montano ma più vicino a una località marittima. Ci regalava la sensazione di poter nuotare pur camminando, tra i numerosi vicoli e tra persone cordiali e meno pressanti, dediti per lo più a godersi le belle giornate. Noi dal canto nostro facevamo lo stesso, bevendo tè alla menta all’ombra e girovagando con serenità per la medina. Ma il tempo stringeva e non potevamo farci mancare Tangeri. Tangeri ha una storia antica e ricca, fu città fenicia, cartaginese, romana, e poi, bizantina, araba, spagnola solo per citare le mille espressioni culturali di cui è impregnata. Perchè prendere un caffè a Tangeri è come prenderlo con il mondo, al tuo fianco trovi un francese intento a girarsi il Marocco in bicicletta e a qualche tavolo più in là gli spagnoli, gli stessi di Fès e poi marocchini incuriositi dai nostri sguardi vissuti e compiaciuti, più simili ai loro che a quelli della nostra terra d’origine. E allora ci tuffiamo in piazza e per pochi spiccioli mangiamo baccalà fritto o passeggiamo sul lungomare modernissimo votato al turismo più sfrenato con la Spagna che ci scruta a pochi chilometri. Tangeri in una parola è “incontro” ma per Noi significava la fine del viaggio, un viaggio lungo un mese tra peripezie, gioe e dolori e in modo incisivo ricordi che a distanza di anni ancora oggi dipingono le nostre fantasie di sognatori; sognatori che hanno dovuto col tempo ridurre le proprie aspettative colpite senza pietà dalla realtà. Ma tranquilli non siamo morti, abbiamo ancora voglia di vivere il mondo, le sue innumerevoli culture e confonderci come ci piace a Noi, perchè è la nostra natura sentirsi un tutt’uno pur essendo diversi. Perchè le diversità dei popoli, con le loro lingue, tradizioni, usi e costumi non vanno soppiantate ma semplicemente accolte e farne tesoro. Dopo un lungo in viaggio in treno, destinazione Marrakesh, veniamo accolti con un sorriso da quelle persone con cui abbiamo avuto l’occasione di condividere quei primi giorni confusi, ed è impagabile la sensazione di casa, perchè stranamente Marrakesh ci appariva come casa, da dove tutto era iniziato e che nelle difficoltà ci aveva accolti. Come ogni finale non mancò la sorpresa. Il giorno prima della nostra partenza si concluse il ramadan, celebrato come Id al-fitr ( festa della interruzione del digiuno). E allora ci concediamo un altro giro di valzer, nell’ultima notte, novelli Gatsby in piena estasi, trascinati da coetanei marocchini per case a bere tè e a fumare, narrando le nostre miraboli avventure. Le ore passano e sale sempre più il rimpianto di non poter rimanere ancora. Strana davvero la vita, scienza inesatta dell’universo. A fine festeggiamenti Io e Ferro conduciamo le nostre anime (Follia aveva ancora il dono di poter dormire su una terrazza) verso l’aeroporto, accompagnati da una leggera pioggia, quasi a sembrar volere che lo stesso Allah piangesse il nostro addio, anche se per tutti sarà e rimane un arrivederci. Cosa aggiungere? Mai dormire in un aeroporto la notte, perchè il freddo ti invecchia di almeno 40 anni, mai portare più del necessario nelle valigie altrimenti sei costretto a pagare e, mai, e sottolineo mai, sentirsi appagati. Sull’aereo diveniamo per ovvie ragioni i beniamini, usciti dalla nostra depressione e vittoriosi in guerra. Il resto è storia. Ritornammo nella città tanto amata e tanto odiata, “vituperio delle genti” come scrisse lo stesso Dante nel suo poema. Ma che ci volete fare, siamo vagabondi che amano ancora vivere la vita, con una bottiglia di vino in mano e con i sogni nell’altra. E’ tutto ciò che ci spinge a superare i nostri limiti e che ci porta con forza a sperare di viaggiare in quella parte del mondo ancora al sicuro da Noi. Ci trovate ancora lì a quel tavolo nella nostra ingenuità, affetti dalla sindrome di Peter Pan. Ma è da lì che le nostre menti fantasticano sui luoghi ancora inesplorati dal nostro spirito, desiderosi come marinari di riprendere il mare e annotare nei nostri cuori le leggende che si stagliano oltre la mera e cinica comprensione mortale. La nostra barca non è delle migliori e il vento non sempre è favorevole ma sappiamo che laggiù, da qualche parte, un porto ci sarà sempre ad accoglierci…
Giacomo Tridenti