A inizio anno mancava l’intesa tra governo e presidi sulla questione scolastica, ma nel frattempo le scuole hanno
riaperto nel completo rispetto delle indicazioni per la salvaguardia della salute di tutti; eppure nessuno
parla di quanto il nuovo assetto della scuola in pandemia stia drasticamente mutando il processo educativo. E non solo, se la critica è rivolta alle istituzioni per le riaperture nessuno indaga quali sono le procedure effettivamente applicabili.
Sembrerebbe che il rientro di gennaio a scuola abbia destato più apprensione dell’apertura dell’anno scolastico di settembre. Ben oltre 8 milioni di studenti italiani degli istituti di ogni ordine e grado sono tornati a scuola in pandemia, nonostante molte regioni avevano chiesto il rinvio dell’inizio delle lezioni in presenza. Per mettere in sicurezza tutti c’è stato, in alcune regioni, uno screening di massa con adesione volontaria: ma è bastato?
Il dibattito è aperto, ma la discussione ha un solo vertice: abbiamo bisogno della scuola, in presenza. Ben oltre la circoscrizione dell’urgenza educativa, la scuola rappresenta il costume morale di una nuova generazione. Quello che rispecchia la scuola è il luogo di crescita ma anche di benessere, la cartina tornasole della salute mentale di un’età critica. Quali sono le condizioni in una scuola in pandemia? Quali i limiti, le privazioni o i cambiamenti che inevitabilmente stanno trasformando l’approccio educativo per i giovani? La vera questione si cela dentro la scuola stessa; non tanto su quali siano le condizioni necessarie per riaprire, ma quali sono quelle per
frequentarla. All’ordine pratico e gestionale subentra quello civile, legato alla irremovibile critica dei No Vax. Il primo limite della scuola in pandemia è la convivenza, all’interno del sistema scolastico, tra corpo docente vaccinato e contrario: una spaccatura appare così insormontabile da diventare una questione personale e morale. Prima di ogni polemica, il problema diventa sostanziale: la sospensione di alcuni professori causa Covid potrebbe ledere il diritto costituzionale allo studio degli studenti, che al rientro si sono trovati senza docente.
Scuola e pandemia: parola agli insegnanti
«Sono cambiati i rapporti umani, e se la distanza garantisce la salvaguardia della salute, dall’altra
parte significa confinare il docente in uno spazio piccolo e angusto, dentro cui si trovano un banco e
una sedia: non possiamo più agire come in passato, pensare secondo gli schemi pre-covid» racconta
Patrizia Fazii, docente in Storia, Letteratura e Latino al Liceo statale “Gonzaga” di Chieti. «Quello che è stato prima non sarà mai più: è una didattica a cui non si può dare più una forma, direi una didattica liquida. Anche i ragazzi si sono dovuti adattare a spazi angusti. Agli studenti viene richiesto un impegno diverso. Il recupero degli apprendimenti è il denominatore comune di tutte le discipline: riprendere continuamente ciò che si è fatto prima». È la voce di un’insegnante che è fiato, di riflesso, della condizione degli studenti. Gli studenti in Dad dimostrano quanto la condizione attuale destabilizzi il sistema scolastico, e non solo. «A volte questa situazione mi
sembra non favorire l’inclusività» continua la docente Fazii. «Gli studenti più capaci di adattarsi, più tenaci, più intraprendenti reagiscono. Vedo i più fragili sparire, rinchiudersi, soccombere di fronte all’impossibilità di essere curati ad personam.» È un vero banco di prova per la nuova generazione, oppure per chi dovrebbe tutelarla?
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