La triste storia del divorzio all’italiana: spartire il Tfr anche dopo 10 anni

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Di Redazione Metropolitan

Il Tribunale civile di Torino, ribadendo un principio ormai noto, ha condannato un uomo a dare una parte del suo Tfr alla ex moglie dopo ben 10 anni dal loro divorzio.

Fa discutere la recentissima sentenza del Tribunale Civile di Torino in tema di divorzio, pur rifacendosi al dato normativo.
I giudici, nell’ambito di una causa di divorzio che vede marito e moglie ormai separati da 10 anni, hanno infatti statuito che alla ex moglie andrà di diritto il 40% del Tfr dell’ex marito.

L’uomo, un ex assicuratore, ha lasciato l’Agenzia dove svolgeva l’attività assicurativa nel 2014, 10 anni dopo dal divorzio con la moglie che avvenne nel 2004 e alla quale già corrispondeva un assegno divorzile.
Il 13 Febbraio 2015 l’uomo ricevette una somma di circa 400.000 Euro da parte dell’Agenzia stessa. Proprio attorno alla qualificazione della natura di tale somma è sorto il dibattito tra il giudicante e l’ex assicuratore, con l’esito già anticipato.

Come funziona il diritto a ricevere parte del Tfr dell’ex coniuge divorziato?

Infatti, secondo il Tribunale di Torino, competente per il divorzio, i 400.000 Euro sarebbero stati ricevuti a titolo di Trattamento di fine rapporto e, pertanto, come stabilisce la legge sul divorzio del 1970, spettante in parte al coniuge divorziato e non risposato.

Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza“.

E’ bene chiarire, però, che non a tutti i coniugi divorziati e non risposati spetta una percentuale del Tfr dell’altro ex coniuge ma solo a coloro che già ricevevano l’assegno divorzile.
“…Tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio … o quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, proprio in tema di divorzio, ha però stabilito, limitando la portata della disposizione, che non rientrano in tale previsione le somme derivanti  dalla “natura imprenditoriale” dell’attività, esercitata “mediante una complessa e articolata struttura organizzata con vasta dotazione di mezzi e personale“. Per evitare il prelievo di parte delle somme percepite, dunque, l’ex marito avrebbe dovuto provare di essere un libero professionista e non un dipendente. Conseguenza sarebbe stata la diversa natura delle somme percepite, non qualificabili come trattamento di fine rapporto ma come, ad esempio, buona uscita.

Secondo il Tribunale di Torino, avverso a quanto ha tentato di provare l’uomo, ossia di aver lavorato presso l’Agenzia in qualità di libero professionista, egli avrebbe portato avanti un rapporto di lavoro subordinato, in quanto legato da vincoli (orari di lavoro, direttive…) tipici di tale tipologia di rapporto lavorativo.

Gravava sul convenuto l’onere di provare la natura imprenditoriale della sua attività di agente“.

L’ex moglie, secondo quanto stabilito dal Tribunale di Torino, avrà quindi diritto a ben 94.000 Euro a carico dell’ex marito.
Ciò che ha fatto, e fa, più indignare, però, non è tanto il risultato in sè, legittimo in quanto previsto dalla legge, ma che tale risultato venga accordato dopo tanto tempo. E’ infatti irrazionale, oltre che immorale, che un rapporto matrimoniale ormai venuto totalmente meno a seguito del divorzio comporti il diritto ad una porzione del Tfr dell’ex coniuge anche dopo 10 anni. Si tratta, infatti, di tanto tempo, lo stesso tempo che avrebbe dovuto ormai consolidare lo stato di fatto estraneità tra due persone che una volta furono coniugi. Diverso, invece, sarebbe se i due fossero solo separati.

Dopo quasi 50 anni forse la Legge sul divorzio dovrebbe essere aggiornata

Si tratta, infatti, di situazioni alle quali la legge sul divorzio del 1970 da un’unica, uguale, soluzione. Invece, anche nel sentire comune, è ben diverso il rapporto tra due coniugi che stanno divorziando, quelli divorziati da pochi anni e quello di due persone ormai divorziate da 10 anni, spesso divenute quasi estranee.
E la legge, in quanto tale, deve dare una risposta che guardi sì ai principi di giustizia e civiltà ma sempre rispettando quanto ritenuto dalla società del cui ordinamento si tratta.

La legge sul divorzio, pertanto, pur con i meriti che le sono riconosciuti da quando è stata approvata, avrebbe ora bisogno di un qualche ammodernamento, tenuto conto sia della situazione economica che l’Italia sta vivendo, sia del fatto che sono sempre meno i legami matrimoniali perpetui.
A cercare di dare una scossa, nell’attesa di un intervento legislativo, è stata anche la recentissima sentenza “Grilli” che ha riparametrato il quantum dell’assegno divorzile all’autosufficienza e non più al tenore di vita, come fino ad ora ritenuto all’unanimità.

Una tale esigenza, sentita ormai comunemente, è sottolineata anche dagli esperti del settore, tra cui l’Avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani, interpellato da “La Repubblica”.
Non è un caso unico, sono ancora molti gli ex mariti costretti a “svenarsì dalla legge sul divorzio che non è più al passo con i tempi“.

Di Lorenzo Maria Lucarelli