Da un tratto di penna intinto di satira, Guareschi tutto può: due personaggi diventano carne e ossa, si sfidano con amore in un paese immaginifico. “Don Camillo e l’onorevole Peppone” stasera in tv. Peppone è stato eletto. Bello era bello, ma basta un cero di un chilo offerto sull’altare per farsi eleggere deputato?

Voglio dire due parole alla reazione clericale, atlantica, guerrafondaia che tutti ben conosciamo!…Per tutti i corvi neri che parlano di patria..” Tra gli applausi, in una piazza animata dal fervore delle prossime elezioni politiche, il sindaco è sul palco e il reverendo implora: “Signore, trattenetemi!“. Don Camillo (Fernandel), una tonaca svolazzante tra le ruote in movimento di una bicicletta, e, sollevati gli occhi dal messale, ha tutto il vigore d’influenzare la campagna elettorale del suo rivale: l’antagonista, nemico inconciliabile Peppone (Gino Cervi). Lui, sindaco comunista di un paesino emiliano, che decide di candidarsi a deputato in Parlamento.

Guareschi e il seminario elettorale

Lo smilzo con riservatezza e puntualità ricorda: “Reverendo sono le cinque è ora di chiudere il rubinetto..”. Secondo gli accordi, Don Camillo deve spegnere i megafoni per lasciare spazio al comizio di Peppone. E dall’alto della sua saggezza talare Don Camillo risponde: “Ora di Mosca le cinque, ora di Roma cinque meno dieci, c’è ancora dieci minuti, ciao!”. Giovannino Guareschi da vignettista, scrittore e saggista, sullo sfondo della famosa piazza, dà vita a due figure a metà tra angeli e demoni; la chiesa e il comune uno di fronte all’altro, in una rovente competizione. Tutto si realizza a Brescello, il piccolo paese a destra del Po, che mai troveremo scritto tra le pagine dell’autore. La società rurale dell‘Italia del dopoguerra è l’ispiratrice. Quella vita vera, genuina, schietta e popolare. Il Mondo piccolo è in quella fetta di pianura che sta fra il Po e l’Appennino” scriveva Guareschi.

Quando la casa editrice del libro, la Rizzoli, si decise a realizzare un film, visto il gran successo in libreria, non fu facile trovare un paese che rispecchiasse quello descritto nel romanzo. Nel 1951 arrivò una troupe cinematografica a turbare e scombinare la tranquillità di una piazza, due case e un forno. Non si riusciva a trovare un regista italiano che volesse girare la pellicola: Mario Camerini, Luigi Zampa, Renato Castellani fino a Vittorio De Sica, che immancabilmente rifiutarono. Troppo rischioso in termini politici, in un periodo in cui in Italia vi era una forte opposizione tra il PCI e la Democrazia Cristiana. Carmine Gallone invece, accettò di esserne il regista.

Compagno e Ave Maria

Peppone infierisce: “Voi non siete un uomo, voi siete un prete! Se siete un uomo aspettatemi fuori!” E Don Camillo gli pesta violentemente il piede, e senza scomporsi accetta la sfida: “D’accordo, ma guarda che siamo in due: prima le pigli dall’uomo, e poi le buschi dal prete!“. Non c’è occasione che non vede bisticciare i due, infuocati d’orgoglio e rivalsa, ma, in fondo, anime che si cercano. Peppone, per manifesti elettorali gigantografie con il suo ritratto, in realtà è un parlamentare che deve superare ancora l’esame di quinta elementare. Sarà il Crocifisso, a persuadere il sacrestano a non cedere al desiderio di vendetta. E il sindaco, si rivolgerà sempre, al suo ‘nemico confessore’, salvezza e consolazione dalle porte aperte di una chiesa.

Dal palco elettorale con la folla intrepida ad attenderlo, prende la parola il primo cittadino Peppone. Ma nel momento in cui fiato e ardore stanno per proferir parola, il parroco spara negli altoparlanti “La canzone del Piave“, a tutto volume. Mentre il Piave mormorava “Non passa lo straniero“, commosso il sindaco, si abbandona a un discorso che vibra di patriottismo, come il grammofono da cui s’alzano le note. Riuscirà il nostro eroe con la fascia tricolore in petto, ad abbandonare il dolce borgo natio per una poltrona in Parlamento? “Ricordate, nel segreto della cabina elettorale Dio vi vede…”. “E Stalin no!”, fa eco il prete al radiofonista!

Un comizio dall’altare

Chitarra spagnola“, una fanfara del 1939, è la canzone che Don Camillo ascolta alla radio, mentre cerca di sapere i risultati delle elezioni. La fantasia di Guareschi mette insieme citazioni, melodie e stornelli; un signore d’altri tempi quando compone i dialoghi dei suoi personaggi, eleganza della parola e sopraffina ironia: “Ogni pasticcio che sorgesse fra i rossi e i loro avversari naturali, diventava alla fine un fatto personale tra don Camillo e Peppone. E così don Camillo diventava il parafulmini sul quale si scaricavano le folgori dei rossi. E poiché don Camillo aveva due spalle formidabili, riusciva sempre ad arrangiare le cose senza guai grossi né per sé né per gli altri.La sua penna graffiava con leggerezza.

Non esiste infanzia, gioventù, che non abbia goduto di un cinematografo, magari di parrocchia. E Don Camillo e Peppone erano gli amici pomeridiani; loro che pensavamo d’incontrare in sacrestia o in municipio, familiari così com’erano diventati, senza distinguere la fantasia dalla realtà. In molti non hanno amato Guareschi per quelle risposte che, saggiamente, in tutte le situazioni, la voce di Cristo in croce formula dall’alto. Erano ‘bestemmie’ per i credenti. Il finale in “Don Camillo e l’onorevole Peppone“, stasera in tv, conferma che al centro dei pensieri dell’uno c’è l’altro. Politicizzati o devoti, in petto hanno un’anima: “Ma se lo sai che non torni più! E che non posso neanche dirti Arrivederci, Peppone!, ma soltanto Addio, Onorevole!. E, due cuori che controbattono sono destinati a cercarsi sempre.

Federica De Candia per Metropolitan magazine