Isabel Allende è una delle scrittrici più amate al mondo. Con il suo Donne dell’anima mia, uscito da poco per Feltrinelli e già nella classifica dei libri più venduti, cerca di dare il suo contributo alla lotta contro la violenza sulle donne, frutto di quella cultura del patriarcato di cui lei stessa è stata testimone. Con un discorso informale, come lei stessa lo definisce, ci parla del femminismo sviluppatosi in lei già nella primissima infanzia.”Non esagero quando dico che sono femminista dai tempi dell’asilo“, scrive.
Ci racconta di Panchita, sua madre, abbandonata dal marito con tre bambini, due ancora col pannolino e uno, lei, in braccio. Ricorda di come l’abbia vista sempre dipendente a causa di quel matrimonio sbagliato, osteggiato dalla famiglia, ma che lei aveva voluto con forza. Dipendente dal padre, dal quale era tornata, in Cile, e dai fratelli, senza mezzi e la possibilità, ne’ il desiderio di coltivare la sua arte pittorica per farne un mestiere.
Il patriarcato è di pietra, il femminismo è fluido
Era una Allende bambina a soffrire di più di quella condizione, come se capisse già tutto di quella cultura del dominio dell’uomo sulla donna, che porta ancora il Cile ad essere uno dei paesi al mondo con la più alta incidenza di violenza sulle donne. Un paese in cui solo di recente grazie a Michelle Bachelet, la prima presidente donna, è stato garantito l’accesso facile e gratuito agli anticoncezionali; sono state promulgate leggi di protezione a favore delle donne e costruite strutture di accoglienza. Nonostante l’informazione, l’educazione e le nuove regole però, la Bachelet non è riuscita a far passare al Congresso la legge per depenalizzare l’aborto.
I cambiamenti non arrivano da soli, si ottengono con la dura lotta
Se c’è forse un limite alla visione della Allende è proprio quello di guardare al fenomeno e di strutturare il femminismo partendo proprio dalla visione del suo paese d’origine, e di quella del Sudamerica e dei paesi sottosviluppati. Di contro è anche la sua forza, perché proprio per la stessa ragione il femminismo della Allende non ha nulla di banale o di trascurabile. La battaglia concreta che porta avanti anche grazie ad una fondazione che gestisce con il figlio, poco ha a che vedere con il lessico e il linguaggio. Le parole sono importanti come macigni quando sono dispregiative nell’educazione alla parità non quando usiamo architetto al posto di architetta, o avvocato invece che avvocata. Le parole sono importanti nel concetto di educazione alla discriminazione che nulla a che vedere con le quisquilie su cui mettono l’accento quelle che si definiscono femministe nel nostro mondo.
Donne dell’anima mia
Isabel Allende scrive: non ho bisogno di inventare le protagoniste dei miei libri, donne forti, decise, perché ne sono circondata; alcune sono sfuggite alla morte e hanno subito traumi terribili, hanno perso tutto, compresi i loro figli e nonostante questo ce la fanno. Sono donne che si rifiutano di essere trattate come vittime, hanno dignità e coraggio, si rialzano, vanno avanti e lo fanno senza perdere la capacità di vivere con amore, compassione gioia.
Condizione necessaria per la lotta è essere indipendenti; affrancarsi dalla condizione di figlia, o solo moglie o solo madre, anche se questo in nessun modo deve condannare alla solitudine o alla rinuncia alla maternità. Siamo nate per dare la vita, scrive, il nostro istinto è quello di proteggere i figli, fare cerchio e legame fra noi, perché i legami fra donne, come sostiene un’altra delle sue donne dell’anima, Adrienne Rich, sono i più temuti, i più complessi.
Isabel Allende ci parla dello stupro come arma di sottomissione, come arma di guerra, ancora oggi, dell’infibulazione, delle spose bambine, di come quando si parla di diritti umani si parli di diritti degli uomini e non di diritti delle donne. Se un uomo viene malmenato e privato della sua libertà è tortura. Se è una donna a subire le stesse cose si tratta di violenza domestica. E la violenza è la principale causa di morte delle donne tra i quattordici e i quarantaquattro anni, più della somma dei casi di cancro, malaria e incidenti.
L’uomo controlla ogni mondo
Ci ricorda pur senza criminalizzare tutti gli uomini, che essere donna significa vivere con la paura. Ogni donna, scrive, porta impressa nel suo DNA la paura del maschio, e questo perché gli aggressori non sono psicopatici, sono i padri, i fratelli, i fidanzati, i mariti, gli uomini “normali”. Servono soluzioni radicali, ovunque nel mondo, e nelle società più arretrate, che considerano la donna alla stregua di un animale, e nelle società più avanzate.
Secondo il Dalai Lama, l’unica speranza di pace e prosperità è nelle mani delle donne occidentali, perché sono quelle che hanno più mezzi e più diritti. Ma la Allende auspica l’unione di tutte le donne del mondo.Non accenna, ed è un altro suo limite, a noi donne come prime educatrici dell’uomo, ne fa solo un discorso di unione per combattere quella violenza e quella paura che tutte le società tendono a mantenere viva in noi solo per controllarci, facendo di fatto dell’uomo l’unico e solo responsabile.
Femminismo e Femminilità
In ultimo, ma non meno importante, il femminismo della Allende non esclude la femminilità e la vanità: possiamo essere belle, sexy, donne, madri, mogli, amanti, come lo è ancora lei nonostante gli anni, senza perdere di vista la nostra natura, la nostra essenza; senza doverci mortificare, abbrutire cercando di eguagliare gli uomini per guadagnarcene il rispetto. La Allende con il suo essere idealista, sognatrice, un po’ visionaria, ottimista, con il suo sguardo solo buono nei confronti delle donne: è un’anima bella. Una donna dell’anima nostra.
Cristina Di Maggio
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