Una polemica è in corso per via delle proposta, un po’ provocatoria un po’ rivoluzionaria, del cambio del linguaggio nella politica che sia inclusivo anche per le donne.

Tutto nasce da una proposta alla Camera che riguarda l’inclusione nel linguaggio, le donne e la politica:

Hanno presentato una proposta che chiede di fare qualcosa di semplice ma nuovo. Ma come tutto ciò che è nuovo, non è in realtà così semplice. Si tratta di cambiare il nome della Camera dei deputati, e quindi l’articolo 55 della Costituzione, trasformandola in Camera delle deputate e dei deputati”.

Poi, dal comunicato dell’agenzia “Dire” leggiamo che:

“Può apparire un intervento semplice ma, dal punto di vista politico e culturale, credo abbia un significato molto forte molto profondo”

Perchè si rende necessario questo intervento?

“Ci sono dei ritardi nel paese, viviamo una situazione di differenze di genere molto forte. Lo vediamo nelle task force ma in tutti i ruoli decisionali importanti. In Europa siamo tra gli ultimi perche’ abbiamo una percentuale di donne che lavorano infinitamente basso ed esiste una questione macroscopica di differenza tra i lavori delle donne e degli uomini. La crisi che stiamo vivendo ora ne e’ ennesima dimostrazione perche’ inizialmente le donne erano quasi per nulla coinvolte e per il peso della cura, che e’ caduto quasi esclusivamente sulle donne”

Non sono mancate le polemiche, i messaggi di odio e i fraintendimenti riguardanti una tipologia di proposte come queste. Necessaria è una rottura nella cultura del Patriarcato, e questa proposta dai toni più provocatori di quanto non s’è riuscito a comprendere, ne è una prima innocua prova. Da rilevare le polemiche di Fratelli D’Italia, che ribadisce come una tale proposta sia in un qualche modo “secondaria” rispetto alle reali esigenze del paese.

Come va interpretata la proposta:

Le modificazioni culturali passano per un percorso di creazione di nuovi modi di pensare. Tramite idee, provocazioni, confronti, pensieri e (non di meno, ma non solo) politiche pubbliche. Purtroppo il Partito non ha saputo cogliere la natura provocatoria della proposta, che mette in luce come la società italiana sia ancora lontana da una reale inclusione. Il cambiamento del linguaggio, argomento da noi già affrontato, è un processo lungo e graduale. Un processo legato a doppio filo in un reciproco rapporto di inter-influenze tra prassi sociale ed espressioni linguistiche. Iniziare a rompere uno schema ormai stantio e che non vuole più rappresentare una società ormai obsoleta è un gesto importante. Ma sappiamo che è un gesto lento e graduale, per cui vale la pena gettare le basi. L’inizio di una discussione che, purtroppo, la destra non è riuscita a comprendere.

Donne in politica: serve un patto oltre i partiti

Riportiamo poi la dichiarazione di Monica Peruzzi, giornalista e conduttrice di SKY TG24. la gioralista, in un elaborato denominato “Donne in politica Serve un patto oltre i partiti“(©Riproduzione riservata) scrive:

Una levata di scudi come non se ne vedevano da tempo, quella a sostegno di Giorgia Meloni, dopo l’articolo del Fatto. Per chi non avesse chiaro quanto è accaduto, lo riassumo così: si invocava “l’intervento del Comitato di Liberazione Nazionale con lo schioppo” per fermare il suo partito. Non è passato molto tempo e il parlamento e il governo hanno manifestato la propria solidarietà alla leader di Fratelli d’Italia. Un bel segnale, testimonianza che le distanze possono essere abissali, in politica, ma esiste la consapevolezza che non sarà con l’odio che ricostruiremo un Paese alle prese con le drammatiche conseguenze del virus. Una presa di posizione che non è dettata dalla necessità di sentirsi a tutti i costi politicamente corretti, ma dalla presa di coscienza dei danni prodotti dal linguaggio dell’odio.

È un sistema che va respinto soprattutto quando nel mirino, come in questo caso, finisce una donna: tra l’altro l’unica leader di partito in Italia, nel deserto in cui versano politica e istituzioni, dove per esserci bisogna sperare nelle quote rosa. Così, dopo quella chiamata alle armi, arrivata dalle pagine di un quotidiano, chissà che, almeno per noi donne, non sia arrivato il momento di fare un passo avanti e provare a dare vita a una piattaforma programmatica che si concentri su un tema che non può che essere uguale per tutte: la battaglia per i diritti. Una piattaforma che rispecchi quella concordia nazionale cui più volte ha richiamato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: in cui si parli di libertà, in cui scrivere il futuro ritrovandosi, come donne, tutte dalla stessa parte.

Non sarà facile, ma da queste colonne vorremmo lanciare una sfida: chiedere alla donne di ogni partito di mettersi insieme per immaginare un percorso comune in cui ritrovarsi, lasciando le divisioni alle questioni esclusivamente politiche e amministrative. Si è fatto con successo in occasione dell’approvazione del codice rosso, potremmo far diventare strutturale questo esempio di collaborazione. C’è da ricostruire un Paese e nessuno, meglio delle donne, sa come rimettere insieme i pezzi.

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