Il fenomeno della censura è un tema storico che in un’epoca di libertà d’espressione, come la nostra, risuona come un’eco lontana da cui si riconosce il valore della parola. Oggi la censura si potrebbe definire una fase della cultura e dell’informazione superata. Con l’avanzamento di ideologie storico-sociali che hanno sorpassato la limitazione di pensiero. Eppure, nello scorso 2019 in occasione del Salone del Libro di Torino veniva escluso l’editore Altaforte, perché “fascista”. 

In questa prospettiva la tematica della censura risulta ancora molto attuale, nonostante si alimenti di circostanze politiche ben differenti. La pratica censoria ha investito il settore dell’editoria non appena manovre storico-politiche hanno ben compreso il potere comunicativo ed emulativo che la cultura poteva esercitare. Con maggior prepotenza sotto un governo totalitario. Dietro queste premesse la pratica della censura preventiva durante il fascismo rimangono un compiuto esempio del compromesso implicito pattuito tra l’editoria e il regime. 

Donne e censura, oggi una riscoperta editoriale

In particolare, il fenomeno delle donne e censura nella letteratura femminile sviluppatosi dimostra quanto i principi letterari siano diventati sempre più il riflesso delle dinamiche politiche. A saldare queste considerazioni si colloca la figura di un’autrice che, vittima della censura fascista, negli ultimi anni è stata al centro di un’importante riscoperta editoriale: Irmgard Keun

Risulta necessaria una panoramica storica della situazione tedesca negli anni Trenta. Per giustificare i cambiamenti che la Repubblica di Weimar ha comportato sia nella società che nella gestione e diffusione della cultura, fino all’avvento della censura. Una condizione inevitabile che ha gravato sulla condizione sociale e della donna in Germania. 

Le nuove donne e l’emancipazione femminile

Mentre in Italia l’arretratezza culturale ha relegato le donne a ruoli rigidi, oltre al fenomeno di donne e censura, a Berlino l’esaltazione della Neue Frau, il fenomeno delle ‘nuove donne’, ha anticipato un’emancipazione femminile. Un fenomeno che il nostro paese ha ammirato anche attraverso la diffusione di Frauenromane, ‘I romanzi per le donne’. Da una parte la cultura d’intrattenimento conquista il pubblico. Dall’altra il passo sordo del nazismo in Germania e del fascismo in Italia ne congela le libertà di trasmissione. 

Non si può parlare di donne e censura negli anni Trenta senza parlare delle premesse storiche che hanno alimentato il processo e presentato in maniera consequenziale la trasformazione delle dinamiche editoriali all’interno di una nuova cultura. Allo stesso modo non si può evitare di considerare l’influenza della cultura internazionale in Italia per comprendere il successo dei romanzi al femminile, tra cui quelli dell’autrice tedesca Irmgard Keun. 

Irmgard Keun, una nuova donna tra le donne e censura

Irmgard Keun è stata una scrittrice tedesca che ha raggiunto l’apice della fama proprio negli anni Trenta in Germania. Nata a Berlino nel 1905 si trasferisce da giovane a Colonia dove si forma a livello professionale, prima come dattilografa, poi come attrice di teatro. Presto abbandona tutto per dedicarsi unicamente alla scrittura, dietro incoraggiamento dello scrittore tedesco e suo amico Alfred Döblin. Frequenta la scena letteraria tedesca, stringendo importanti amicizie con scrittori come Kesten o Toller. E soprattutto intrattenendo una relazione sentimentale molto appassionata con Joseph Roth che ha un’influenza positiva ma dannata sulla sua vita.

I suoi romanzi incarnano esattamente gli ideali di quelle che in Germania negli anni Trenta erano definite Neu Frau, “le nuove donne”. Un movimento di emancipazione femminile in cui si affermano modelli di donne indipendenti a livello economico, che spesso rinunciano a matrimonio e figli per il raggiungimento della propria autonomia. Un modello femminile accolto molto bene in Germania, e molto ambito in Italia, dove il grado di emancipazione era ancora condizionato dall’immagine di donna-madre. 

Il successo di Keun promesso da questi titoli viene però presto bruciato, anche letteralmente. Quando l’avvento del nazismo e il rogo dei libri a Berlino vieta la diffusione di tutti i titoli pubblicati non corrispondenti all’ideologia nazista, tra cui anche quelli di Keun. La scrittrice tedesca, coraggiosa e impavida, decide di fare causa allo Stato ma con un gesto inevitabilmente vano, da cui ottiene soltanto un arresto e il conseguente esilio. Da quel momento la sua carriera e l’intera vita sprofondano nell’oblio, persino quando riesce a rientrare in Germania sotto falso nome nel 1940. E fino alla fine dei suoi giorni, quando nel 1982 muore a Colonia dopo anni di deliri psichiatrici e alcolismo. 

Il fenomeno Frauenromane: i romanzi per le donne

Se in Germania le sue opere e quelle delle Neue Frau vengono obbligatoriamente dimenticate, in Italia il fascino dei Frauenromane – Romanzi per le donne – si concretizza nella collana di Mondadori «I romanzi della Palma» del 1932. Nonostante le limitazioni ideologiche fasciste in pieno regime, vede la pubblicazione di molti romanzi di autrici tedesche. Il compromesso per continuare a pubblicare queste opere è la censura preventiva e l’autocensura. Censura che include tagli e modifiche a episodi che sarebbero stati sicuramente incriminati dal regime fascista. 

Tra le opere della collana, Mondadori pubblica proprio il primo romanzo di Keun: Gilgi una di noi. Nella versione censurata del 1934 viene modificato l’episodio di un suicidio famigliare. Di cui in qualche modo la protagonista Gilgi si sentiva responsabile tanto da indurla a una fuga verso Berlino. Nella nuova versione il suicidio è sostituito con una scomparsa misteriosa.Questo indubbiamente cambia il senso della fuga di Gilgi e, inevitabilmente, anche del libro stesso. 

Il progetto de L’orma editore, una riscoperta culturale

Da allora la produzione di Irmgard Keun rimane sconosciuta in Italia per decenni, e diventa un vero caso editoriale solamente qualche anno fa. Una casa editrice indipendente romana, L’orma editore, che pubblica prevalentemente traduzioni tedesche e francesi nel 2016 decide di pubblicare la versione integrale di Gilgi una di noi, e a seguire altre opere di Keun fino all’ultima pubblicazione Dopo mezzanotte dell’anno scorso, riscoprendo in questo modo un’autrice dimenticata a tutti gli effetti.

Le recenti traduzioni e pubblicazioni de L’orma editore hanno ridato dignità alle opere di Keun. Opere che la censura aveva lasciato nell’ombra. O che la censura preventiva aveva manovrato senza alcun rispetto letterario. Il progetto de L’orma editore ha come elemento centrale l’aspetto culturale e letterale, a cui si lega inevitabilmente quello storico. Della censura ne hanno parlato molto ad esempio negli incontri pubblici, è stato accolto bene anche dalla stampa. Sebbene lo specifico della loro scelta rimane letterario. Rispetto alle altre autrici tedesche Neu Frau, Keun è per L’orma editore quella a livello letterale più interessante per unità di forma. Ma soprattutto per una voce che da subito costruisce il personaggio. È un linguaggio semplice ma sempre funzionante, brillante, ironico. 

Come ha espresso bene uno dei due editori, Marco Federici Solari, “Il linguaggio di Irmgard Keun è una voce che ascoltiamo. In cui ogni frase è sempre una frase interessante”. 

La censura avrebbe capito troppo

Gilgi, una di noi è un libro che i tedeschi hanno bruciato e gli italiani censurato: lascia molto pensare il commento che un lettore mondadoriano aveva fatto su un romanzo di Keun: “troppo sofisticato, la lettrice non avrebbe capito nulla e la censura avrebbe capito troppo”. Lo sguardo attuale de L’orma editore sull’argomento storico-editoriale ha avuto il compito di riassegnare identità e dignità a una cultura abbandonata a sé stessa.

Ma soprattutto la rivincita dagli ideali di una censura per le donne che ci hanno privato per decenni di libertà. È per questo che l’analisi fondamentale della riscoperta contemporanea di Irmgard Keun da parte de L’orma editore ha rappresentato un riscatto. Rispetto all’epoca del silenzio, quella della censura, e l’esaltazione simbolica di una relazione culturale europea viva e oggi soprattutto libera. O almeno ci proviamo.