Il Pretty privilege è un bias che, letteralmente, indica il privilegio di essere belli all’interno di un ambiente sociale. Quest’ultimo è inteso come una dote per la quale le persone convenzionalmente ritenute più attraenti hanno maggiori possibilità di trarre benefici in diversi contesti della società. L’aspetto fisico piacente va, in questo caso, a essere accomunato ad altri tratti della persona che ovviamente non si conoscono, ma in seguito all’ estetica avvenente si sarà portati a ritenere che lo stesso soggetto sia gradevole anche in altri aspetti che lo riguardano.
Pretty privilege e successo sociale: una bias dominante
Il concetto di privilegio indica, prevalentemente, l’accesso a molti ambiti di successo o potere sociale non sulla base del merito ma dovuto alla semplice appartenenza di un gruppo dominante nella società. Quando si parla di Pretty privilege, nello specifico, si è automaticamente portati intendere la bellezza correlata non solo al successo sociale ma anche ad altre qualità positive come il talento, la bontà, la gentilezza. Il Pretty privilege si riferisce al privilegio di essere belli e quindi alla condizione di possedere un aspetto fisico attraente all’interno del contesto sociale; una circostanza che, in molte aree della vita, può tradursi in un vantaggio concreto.
Il privilegio della bellezza, ovviamente, affonda le sue radici nelle imposizioni estetiche della società che sono soggette alla mutevolezza del tempo, proprio come i canoni dominanti attraverso le epoche. Ma è un dato di fatto che, nel presente come nel passato, il soggetto bello abbia goduto da sempre di una maggiore accoglienza in termini di positività da parte dei suoi interlocutori; il bias in questione, infatti, evidenzia come l’aspetto fisico piacente sia spesso associato a talento, intelligenza, bontà. Un soggetto che osserva un altro soggetto considerato piacevole alla sua vista, sarà portato alla percezione di altre qualità positive della persona ritenuta avvenente. Insomma, chi è più bello è più capace: un inganno della percezione dell’uomo.
Il privilegio della bellezza legato a un noto pregiudizio cognitivo: l’Effetto Alone
Il Pretty privilege è strettamente legato a un pregiudizio cognitivo noto come ”Effetto Alone”. Nel 1920 psicologo Edward Lee Thorndike usa per la prima volta l’espressione Halo Effect, o Effetto Alone, nel suo articolo The Constant Error in Psychological Ratings (L’errore costante in valutazioni psicologiche); l’Effetto Alone di Thorndike descrive come l’impressione generale che si ha di una persona influenzi sentimenti e pensieri riguardo quest’ultima; gli individui considerati attraenti sono spesso percepiti come più intelligenti, più divertenti, più gentili. In sostanza grazie a questo bias cognitivo la percezione di un tratto è influenzata dalla percezione di uno o più altri tratti dell’individuo, come per l’appunto il Pretty privilege: giudicare intelligente, a prima vista, un individuo di bell’aspetto.
Un errore ricorrente presente nelle valutazioni effettuate in contesti aziendale o militari, come evidenziato dallo stesso Thorndike in uno studio precedente del 1915. Si è quindi portati ad avere un’ impressione globale positiva di un individuo basandosi esclusivamente su un singolo tratto ritenuto piacevole. Questa distorsione cognitiva è utilizzata anche nel campo del marketing come, per esempio, nella promozione di libri o film.
Pretty Privilege e Lookismo: la discriminazione nei confronti degli individui sulla base dell’apparenza
Un altro pregiudizio strettamente correlato al Pretty privilege è il Lookismo, dall’inglese Lookism. Il pregiudizio riguardante il lookismo consiste nella discriminazione nei confronti di individui sulla base dell’apparenza, ed è rivolto a persona considerate poco desiderabili o attraenti sulla base di alcune caratteristiche riguardanti l’aspetto fisico. In questo contesto si equipara la bellezza a un tratto valoriale della personale e si è portati a discriminare chi, in una data epoca o contesto, non corrisponde all’ideale di bellezza del momento. La valutazione della persona, secondo il lookismo, passa esclusivamente attraverso l’aspetto fisico senza contemplare altri tratti. L’etimologia della parola deriva, per l’appunto, dall’inglese look: aspetto ( esteriore).
Questo pregiudizio, sebbene abbia ricevuto meno attenzione rispetto ad altre forme di discriminazione, tende a verificarsi in svariati contesti come l’ambiente di lavoro, ma anche in situazioni meno formali come le relazioni personali e sentimentali. Chi non è fisicamente attraente, spesso, subisce una effettiva e duplica dannosità: le persone, come il Pretty privilege suggerisce, tendono infatti ad associare automaticamente l’aspetto esteriore alle caratteristiche positive delle persone mentre l’aspetto poco piacente alle qualità negative di una persona.
Kalokagathìa, la fusione fra etica ed estetica: un parallelismo
La kalokagathia, nella cultura greca del V secolo, si riferiva all’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo. Il termine deriva dall’espressione καλός κἀγαθός, – kalòs kagathòs – crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, – kalòs kai agathòs – , letteralmente, reso con ”bello e buono”. Questo concetto, simbolo dell’antica Grecia, si riferiva al possedimento generale di ogni virtù. L’armonia del bello e del buono attesta come ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono debba, necessariamente, essere bello. Da qui, la concezione della rappresentazione greca del bene connessa all’azione dell’uomo come la kalokagathia sostiene.
Prendendo in prestito questo concetto della cultura greca arcaica si può facilmente azzardare un parallelismo con la questione del bias Pretty privilege: ciò che è bello deve, quasi per obbligo, essere per forza buono e possedere ogni virtù e qualità. Si potrebbe, simpaticamente azzardare, che il kalòs kai agathòs sia l’antenato e atavico concetto del bias attuale che sottolinea i vantaggi e i benefici di chi gode del privilegio della bellezza.
Pretty privilege, vantaggi e svantaggi dell’esser belli: il beauty penalty
Essere avvenenti è sicuramente un vantaggio; per esempio nell’ambito lavorativo rappresenta un trampolino di lancio atto al conseguimento di diversi benefici. Uno studio compiuto dall’Università di Harvard nel 2006 ha dimostrato come l’influenza della bellezza nel mondo del lavoro sia una realtà. Lo studio, Why Beauty Matters, dimostra come dipendenti fisicamente attraenti tendono ad avere maggior fiducia in loro stessi ottenendo un salario maggiore. Dall’Abstract si legge:
Scomponiamo il beauty premium in un mercato del lavoro sperimentale in cui i “datori di lavoro” determinano i salari dei “lavoratori” che svolgono un compito di risoluzione di labirinti. Questo compito richiede una vera abilità che dimostriamo non essere influenzata dall’attrattiva fisica. Troviamo un considerevole premio in termini di bellezza e possiamo identificare tre canali di trasmissione: (a) i lavoratori fisicamente attraenti sono più sicuri e una maggiore fiducia aumenta i salari; (b) per un dato livello di fiducia, i lavoratori fisicamente attraenti sono (erroneamente) considerati più capaci dai datori di lavoro; (c) controllando la fiducia dei lavoratori, i lavoratori fisicamente attraenti hanno abilità orali (come abilità comunicative e sociali) che aumentano i loro salari quando interagiscono con i datori di lavoro.
– Mobius, Markus M. and Tanya S. Rosenblat. 2006. Why beauty matters. American Economic Review 96, no. 1: 222-235.
Oltre l’effettivo ottenimento dei benefici lo studio dimostra anche come i lavoratori fisicamente avvenenti siano ritenuti più capaci. Tuttavia, esiste il rovescio della medaglia: la bellezza può anche essere un’etichetta ingombrante? A quanto pare sì, e a dimostrarlo è un ulteriore studio del 2006 compiuto da alcuni ricercatori dell’Università del Texas che hanno individuato il ”beauty penalty’‘, l’altra faccia del privilegio della bellezza. Nello studio “Judging a Book by Its Cover: Beauty and Expectations in the Trust Game” si dimostra come le persone dall’aspetto fisico attraente siano, a loro volta, schiacciate dalle aspettative della massa; se un bello non raggiunge la performance che la società si aspetta è subito additato per via del bias Pretty privilege: impossibile che un bello sbagli, se è bello non può non essere bravo. Nell’Abstract dello studio si legge:
Questa ricerca esamina un meccanismo attraverso il quale le persone decidono se fidarsi degli estranei. Utilizzando un ambiente di laboratorio che fornisce ai soggetti informazioni controllate sulle loro controparti, testiamo se i soggetti attraenti ottengono un “premio di bellezza” in un gioco che coinvolge fiducia e reciprocità. Gli amministratori attraenti sono considerati più affidabili; sono fidati a tassi più alti e di conseguenza guadagnano di più nella prima fase del gioco. L’attrattiva non garantisce guadagni più elevati, poiché nella seconda fase del gioco troviamo una “penalità di bellezza” collegata ai fiduciari attraenti. Questa sanzione si verifica perché i fiduciari attraenti non sono all’altezza delle aspettative da parte dei fiduciari. Gli amministratori rifiutano il rimborso quando le loro aspettative vengono deluse. Questa punizione è maggiore quando il fiduciario deludente è attraente.
– Eckel, Catherine & Wilson, Rick. (2006). Judging a Book by Its Cover: Beauty and Expectations in a Trust Game. Political Research Quarterly. 59. 10.1177/106591290605900202.
La punizione diventa quindi stereotipare un bello non particolarmente brillante. Un esempio è il citato modo di dire ” È bello ma non balla”.
La bellezza spiegata da Dostoevskij
La letteratura russa è, soprattutto, filosofia. Dostoevskij scrive nel suo romanzo L’Idiota:
“È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?”
– F. M. Dostoevski, L’Idiota
‘La nota frase ”la bellezza salverà il mondo ” è fatta dire dall’autore russo al principe Miškin, ma a quale bellezza si riferisce? Non si tratta della concezione di bellezza estetica come, in tempi moderni, si suole immaginare; Dostoevskij si riferisce al legame della bellezza con la bontà e, quindi, alla bellezza della bontà. Diventa inevitabile, quindi, lo stretto legame fra bello e bene. In una lettera alla nipote Sonija Ivanova, il grande autore russo scrive che l’idea centrale del romanzo è quella di descrivere un uomo buono, nella sua interezza; compito arduo in quanto tutti gli scrittori che avevano cercato di riportare la rappresentazione del bello assoluto avevano fallito poiché risulta un compito impossibile. Il principe Miškin diviene tentativo di rappresentazione dell’ideale di assoluta bontà e bellezza morale. Il progetto di Dostoevskij consiste nell’idealizzazione di un essere buono che redime il mondo con la sua bontà.
“Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, ma l’apparizione di questo essere immensamente, infinitamente bello, è di certo un infinito miracolo”
– F. M. Dostoevski, L’Idiota
L’avvenenza, che sia un pregiudizio che arreca vantaggi o una forma di discriminazione sulla base puramente estetica, non equivale alla vera bellezza che deve, necessariamente, combaciare col bene ed essere priva di etichette e pregiudizi; quello che Dostoevskij insegna ancora ai suoi lettori dal 1869, data di pubblicazione de L’Idiota, è che il mondo si salverà quando la bellezza intesa come ”bellezza della bontà” sarà meta ambita da ogni uomo: questa è l’unica bellezza che salverà il mondo.
Stella Grillo
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