Come il più terribile degli incubi. È arrivata così la notizia della morte di Paolo Rossi a sconvolgere tutto il mondo del calcio, nel pieno della notte come un incubo devastante. Si è spento a soli 64 anni a causa di una malattia incurabile ai polmoni. A dare il doloroso annuncio ci ha pensato la moglie, Federica Cappelletti, con un post su Instagram, che vede la foto dei due coniugi abbracciati, recante la frase “Per sempre” affiancata da un cuore.

A seguire quello su Tweet del giornalista Rai Enrico Varriale, che ha voluto ricordarlo con queste parole: “Una notizia tristissima: ci ha lasciato Paolo Rossi. Indimenticabile Pablito, che ci ha fatto innamorare tutti in quell’ Estate del ’82 e che è stato prezioso e competente compagno di lavoro in RAI, negli ultimi anni. R.i.p caro Paolo”.

All’anagrafe Paolo, ribattezzato “Pablito”. E con quel soprannome, affibbiatogli dalla rassegna argentina durante i Mondiali del 1982, passa alla storia. Lui, che quel Mondiale sembrava non dovesse nemmeno giocarlo, alla fine non solo lo vince, regalando all’Italia intera un sogno fantastico, ma lo vive da protagonista assoluto. La memorabile tripletta contro il Brasile (quello di Falcao e Zico), due goal alla Polonia in semifinale e la rete dell’1 a 0 contro la Germania Ovest nella finalissima del Santiago Bernabéu.

Leggero, agile, scattante, concreto. Un vero rapinatore d’area, magrissimo, tutto nervi, cuore ed istinto. Perché non sempre contano i muscoli o la potenza fisica, talvolta sono l’intuito e la rapidità d’esecuzione a fare la differenza. A portarti sul tetto del mondo, a conquistare il Pallone d’Oro.

E Paolo Rossi è riuscito a fare entrambe le cose. Per questo non lo dimenticheremo, perché con quei suoi colpi e quel suo particolare guizzo ha realizzato imprese straordinarie, come quella di aver reso eccezionale anche il nome più comune di sempre.

Ciao, Pablito.

TARTAGLIONE MARCO

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