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Ottobre 22, 2024, martedì

“E Vissero Feriti e Contenti”: il nuovo album di Ghemon è una favola reale

Dopo Sanremo, per Ghemon l’attesa non era mica finita. Ma ieri, finalmente, è uscito fuori il suo settimo disco. “E Vissero Feriti e Contenti, e sembra già svelarci dal titolo tutta l’ironia e la consapevolezza di un nuovo romanticismo. Perché se nelle favole tutti vivono felici e contenti, dentro l’album di Ghemon ci rendiamo conto come la felicità derivi dall’esperienza (e non sempre bella). Ma da cui tutti usciamo, in qualche modo, “Feriti e contenti”. 

“E vissero feriti e contenti” di Ghemon, un allegro viaggio nostalgico

Il settimo album di Ghemon, “E vissero feriti e contenti”, è la prova di come il cantante sia diventato se stesso. Un passo di danza, da una traccia all’altra, dal buio alla primavera, che ci mostra e ci confessa quanto bisogna patire per il proprio “Momento perfetto“.

È un sogno che incomincia dalla fine, il presagio di una felicità a posteriori, il paesaggio che si vede dal cruscotto: bello da lontano. L’album di Ghemon incomincia così, come un sipario che si apre alla fine. E l’introduzione letta da Chiara Francesca, come traccia 1, ci guida come in un viaggio nostalgico. Matriosche colorate, le canzoni di Ghemon si aprono e si schiudono in un punto che non sembrano mai di arrivo né di partenza. In E Vissero Feriti e Contenti sembra piuttosto che ogni traccia sia una storia completa, da capo a piedi. Ma che funga da premessa per quella successiva. Una staffetta di simboli e consapevolezze, un domino preciso di paure e limiti che abbattono tutte le fragilità dei vecchi album, per consolidarsi in un’identità molto più matura. 

Non che quest’album snaturi lo stile di Ghemon, ma si presenta invece come la versione realistica di tutti i suoi esperimenti precedenti. C’è la contaminazione di lingue e di voci (oltre la musica). Ad esempio con i vocali di Ema Stokholam in “Trompe l’oeil”. Ma c’è anche una misurata allegria come in “Momento perfetto” che in realtà copre l’ombra di una malinconia radicata. 

In “E Vissero Feriti e Contenti non c’è più bisogno di nessuna prova, è tutto provato. Quello che ascoltiamo è la fine di un percorso emotivo, che rappresenta inevitabilmente il risveglio di un nuovo sguardo sulle cose. Un album in cui si mischia la creatività di Ghemon alla sua esperienza personale, e in cui nelle 15 tracce cerca di “passarci attraverso”.  Una musica che graffia come il gatto che è nella copertina dell’album, ma sa fare anche le fusa. In cui la consapevolezza della nostalgia diventa ironicamente un gran colpo di fortuna, per chi sa riconoscerne il ritmo. 

Non a caso l’album è stato scritto negli ultimi cinque mesi. Un periodo in cui inevitabilmente Ghemon è riuscito a condensare le interpretazione di un periodo di meravigliosa instabilità. Quando il tempo non è più stato un buco nero, ma un salotto comodo dove poter dedicarsi totalmente allo studio, alle registrazioni a distanza. Nel suo settimo album, infatti, Ghemon è il protagonista in ogni aspetto – e finalmente se stesso – dalla composizione alla produzione, dall’arrangiamento alla scelta dei cori.

Dall’hip hop, al neo soul, dal jazz al funk, persino l’afrobeat e soulful house. “E vissero feriti e contenti” è la contaminazione dei ritmi che più rappresentano le anime di Ghemon, e non solo. È una lingua universale che unisce i desideri e le paure di tutti, ma soprattutto una realtà che unisce tutte le verità.

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